sabato 1 dicembre 2012

(Scheda 185) Ancora Condrociti vs microfratture, Aderenze e Articolazioni limitate e dolenti.

Condrociti vs microfratture e Aderenze  Articolazioni limitate e dolenti
Articolo informativo di Giuseppe Pinna per S. O. S. - “Osteomielitici d’Italia” - Onlus «Centro Servizi Informativi On-line per Osteomielitici e Pazienti dell’Ospedale CODIVILLA-PUTTI di Cortina d’Ampezzo».
                       
Nel 1994 il primo annuncio: "effettuati con successo i primi trapianti di cartilagine col-tivata in laboratorio"

Una speranza per quanti soffrono di lesioni della cartilagine e forme iniziali di artrosi del ginocchio e della caviglia.

Una speranza e una opportunità chirurgica amplificata per oltre un decennio dal moltiplicarsi degli studi e delle casistiche sempre più ampie e incoraggianti. 
Le cellule della cartilagine hanno infatti un comportamento paradossale: non si riproduco-no in vivo ma crescono benissimo in laboratorio. 
In altre parole significa che chi ha subito un danno articolare alla cartilagine che riveste le superfici del ginocchio non ha speranze di guarire. 
Il danno è permanente. 
Non solo: la lesione rende le superfici di scorrimento irregolari e inadatte al buon funziona-mento dell’articolazione, tanto che con il tempo la lesione si allarga e innesca un degene-razione artrosica che coinvolge tutto il ginocchio
A meno che non si ricorre alla cartilagine coltivata in laboratorio: una piccola quantità di cartilagine sana viene prelevata dall’articolazione sofferente e messa in cultura. 
Dopo tre settimane si ottiene una cartilagine artificiale: uno strato di condrociti (le cellule della cartilagine) adese ad un supporto di collagene o di acido ialuronico
Questo lembo una volta fatto aderire alla zona articolare mancante di rivestimento si integra all’osso sottostante e inizia a trasformarsi in una vera cartilagine
Scompare cosi il dolore e il rischio di sviluppare negli anni una degenerazione artrosica.
                       
                         
         
Nel 2006 si è alzata la prima voce contraria a questi risultati. 
Un autorevole gruppo di studio norvegese ha messo a confronto due gruppi di pazienti: 
- il primo trattato con trapianto autologo di condrociti
- il secondo trattato con una semplice tecnica artroscopica di stimolazione della cartilagine
In pratica il primo gruppo subiva tutte le fasi del trapianto di cartilagine allevata in labora- torio: primo intervento di prelievo di cartilgine, attesa di almeno tre settimane e secondo in-tervento di trapianto. 
  
Il secondo gruppo subiva invece un unico intervento artroscopico durante il quale la zona di cartilagine mancante o gravemente danneggiata veniva trattata con uno strumento che pratica minuscoli fori nell’osso sottostante (tecnica delle microfratture di Steadman).
                        
                     
Risultato: i pazienti dei due gruppi seguiti per due anni clinicamente e radiologicamente con studi R.M.N. e con esame ispettivo artroscopico e istologico non hanno mostrato diffe-renze di rilievo. 
Non solo: il gruppo sottoposto a trapianto di cartilagine ha avuto percentualmente mag-giori casi di insuccesso e complicanze rispetto al gruppo trattato con la sola artroscopia.
          
                     
                      
                     
  
 

                        
                                                    
Una voce, quella del gruppo di studiosi norvegese, autorevole, ma isolata e contraria a cen-tinaia di studi condotti per oltre un decennio che confermavano la validità delle tecniche di coltivazione e trapianto di cartilagine affinate e perfezionate negli anni.
                       
A poco più di un anno di distanza le voci si sono però moltiplicate: dieci sono quelle selezio-nate dalla Cochrain collaboration la più importante associazione al mondo di studiosi che certifica e legittima la qualità e la attendibilità degli studi, e altre dieci sono in corso di valuta-zione. 
Impossibile quindi non tenere conto dei risultati di questi studi. 
In sintesi
una parte dei condrociti trapiantati nel ginocchio risultano non vitali. 
Circa circa 3-4 su 10 sono biologicamente non attivi. 
Il tessuto di riparazione della lesione che si sviluppa nei mesi successivi al trapianto non è ve ra cartilagine ma una fibrocartilagine, con poche cellule vitali, molto tessuto connettivo e po- ca matrice cartilaginea
Come dire una cartilagine di serie B poco adatta a sopportare il peso e le frizioni che si svilup pano in un ginocchio in movimento. 
La stessa fibrocartilagine che si sviluppa dopo il semplice trattamento artroscopico delle mi-crofratture, ma a costi, sacrifici ed esposizione a potenziali complicanze molto più basse.
La partita tra gli studiosi tuttavia non è di certo chiusa: i sostenitori del trapianto di cartila-gine sostengono che due anni sono pochi per la valutazione dei risultati che la cartilagine ha bisogno di più tempo per maturare e trasformarsi in una cartilagine sana.
I più prudenti sostengono invece che anche i risultati dello stesso Matz Brittberg, il ricercato-re che per primo ha messo a punto la metodica di coltivazione dei condrociti a distaza di 9 an ni dal trapianto mostrano un tessuto composto al 60% di fibrocartilagine e quindi di serie B e al 40 % di vera cartilagine articolare ialina
Al momento il mondo della ricerca e dell’ortopedia prudentemente consiglia di trattare i difetti della cartilagine del ginocchio fino a 4 centimetri quadrati (la gradezza di un francobollo) con la semplice stimolazione della cartilagine utilizzando la tecnica delle microfratture, men-tre le lesioni più estese con il trapianto di cartilagine
Infine un grosso limite che è bene precisare: 
nessuna delle due tecniche è valida in caso di artrosi avanzata e dopo 50 anni quando le capacità biologiche della cartilagine si sono molto ridotte.
        Aderenze, quando le giunture si incollano
                          
                                    
Il ritorno al movimento dopo le operazioni 
dipende spesso dall'immediato ricorso alla fisioterapia
                  
                    
G
iunture bloccate dopo un intervento chirurgico. 
Può accadere dopo una ricostruzione dei ligamenti del ginocchio, in seguito all'im-pianto di una protesi articolare o dopo la riduzione di una brutta frattura al gomi-  
           to, ma anche a seguito di un intervento correttivo per alluce valgo o semplici inter- venti di artroscopia.
Non c'è in pratica intervento ortopedico che non corra questo rischio di complicanza post ope ratoria. 
Superata la prima fase di convalescenza e rimossi i punti sulla pelle o l'apparecchio gessato, viene concesso il movimento, incoraggiata la fisioterapia, spinta la deambulazione e il carico sull'arto operato, ma la giuntura fa male e non si sblocca, pare incollata
A nulla valgono i farmaci antinfiammatori, antidolorifici, massaggi e lunghe sedute di chinesite rapia. 
Dopo mesi di calvario quasi inevitabile il giudizio espresso dal paziente reso così limitato, do-lente e penalizzato nella funzione della parte operata: 
l'intervento non è stato compiuto correttamente. 
Invece il più delle volte, la responsabilità è dello stesso paziente o del terapista che ha guida-to la fase di riabilitazione.
E' bene chiarire. 
Operare una articolazione implica l'uso del bisturi e di altri strumenti per tagliare, scollare e divaricare muscoli e tendini per arrivare in profondità e raggiungere la capsula articolare
Questa struttura che è come un guscio che circonda l'articolazione deve essere incisa e aperta per esporre infine i capi articolari e operare su cartilagini e ligamenti.
Terminato l'intervento, che può essere più o meno invasivo a seconda della tecnica utilizzata, ma che nella procedura non si discosta di molto da quanto sommariamente detto sopra, il chi rurgo ortopedico sutura e ricostruisce le strutture dissecate, dai piani anatomici più profondi fino alla pelle.
                              
                  
Una ricostruzione ben fatta dovrebbe assicurare il pieno recupero funzionale della articola-zione operata. 
Invece non basta: il ginocchio può restare ugualmente bloccato e dolente, il gomito non si piega e la caviglia impedisce una corretta deambulazione.
Colpa delle aderenze. 
I tessuti dissecati si sono incollati tra loro ed il sangue che inevitabilmente si è versato nella articolazione si è asciugato e si è trasformato in tralci fibrosi e tessuto cicatriziale tenace e spesso: le cosidette aderenze.
                      
Tanto è: l'articolazione non recupera la sua normale escursione di movimento. 
Una complicanza che si verifica quando la mobilizzazione della parte dopo l'intervento è stata ritardata o è stata praticata in modo troppo blando. 
Ogni intervento richiede, infatti, un periodo di riposo e di immobilità post-operatoria, da 24-48 ore a parecchie settimane. 
Scaduto questo tempo e a giudizio dello specialista che ha eseguito l'intervento, gli esercizi di fisioterapia devono essere intrapresi immediatamente per riattivare l'articolazione interes-sata. 
Ogni ritardo spiana la strada allo sviluppo di aderenze e quindi alla rigidità.
                       
Pazienti apprensivi, timorosi o comunque con una bassa soglia del dolore che si sottraggono alle cure del fisioterapista o che sospendono la seduta al primo sintomo di dolore sono possi-bili candidati alla rigidità articolare.
Fisiochinesiterapie troppo blande, ritardate o non adeguate al tipo di intervento subito, posso no anche esse dare luogo a questa complicanza per interventi altrimenti eseguiti corretta-mente.
Il lento recupero del movimento
A volte occorre intervenire con anestesie 
e sedazioni anti-dolore
                          
Tese dentro l'articolazione come una corda di violino o tenaci e spesse come un panno che occupa la cavità articolare, le aderenze una volta che si sono sviluppate limitano in parte o del tutto i movimenti e fanno male.
L'articolazione deve così essere sbloccata per recuperare la sua funzione. 
Per aderenze recenti, poco sviluppare e poco dolenti può bastare la fisioterapia. 
Il riabilitatore accompagna e forza gradualmente l'articolazione interessata recuperando pian piano il movimento. 
Nei casi più gravi non basta: il dolore è tanto e le aderenze così tenaci che l'articolazione non cede. 
Si può allora sbloccare la parte ricorrendo alla anestesia loco-regionale o alla sedazione ge-nerale. 
Si permette così allo specialista di forzare, fino ad avvertire il cedimento delle articolazioni che spesso si accompagna anche ad un effetto acustico di schiocco alla rottura delle ade-renze.
Una manovra che deve essere comunque eseguita con cautela: nei pazienti anziani ed osteo porotici può essere l'osso a cedere e fratturarsi e non le aderenze
Solo le rigidità più severe richiedono un intervento chirurgico di lisi e rimozione delle aderen-ze
             
Si può ricorrere a tecniche mininvasive, come l'artroscopia: attraverso due fori cutanei si penetra dentro l'articolazione con una minitelecamera e uno strumento a radiofrequenze. 
Quest'ultimo lungo e sottile come una penna è dotato ad una estremità di un potente emet-titore di radiofrequenza. 
Messo a contatto del tessuto cicatriziale che si vuole rimuovere ed attivato dall'operatore, va-porizza in una bolla di gas l'aderenza
In pochi minuti e senza sangue l'articolazione viene ripulita e recupera il suo pieno movi-mento.
                        
                        
                        
                         
                                                  Aderenze
Le aderenze sono un problema comune. 
Tanto frequenti che sono quasi sempre la prima ipotesi diagnostica ad essere formulata, quando una articolazione risulta limitata e dolente.
                      
             Raffigurazione del "dolore d'Artrite al ginocchio" tratta da: http://contactlenses.brasilia.me/wp content/uploads/2011-07-19/il_dolore_del_ginocchio_dartrite_-_i_trattamenti_naturali_quel_lavoro_2.jpg 
                                  Il Dolore del Ginocchio d'artrite - i Trattamenti Naturali Quel Lavoro
Specie dopo una grave distorsione, una frattura o un intervento chirurgico che han no richieso una prolungata immobilizzazione.
 Il tempo e la immobilità sono infatti i due fattori principali perché si sviluppino le aderenze
Non deve tuttavia mancare un terzo elemento: il sangue
E' bene chiarire. 
Le aderenze sono composte dallo stesso materiale delle cicatrici, il collagene
A sua volta costituito da fasci di minuscole fibre che si condensano tra loro: la fibrina
Nel sangue, di fibrina, c'e né in quantità. 
Finché scorre nelle vene e nelle arterie è fluida, ma appena fuoriesce da una ferita si aggre-rà in fasci sempre più grossi e da luogo ad un fenomeno che tutti conoscono: la coagulazio- ne; indispensabile per arrestare una emorragia, ma denominatore comune anche del feno-meno aderenze.
Si sviluppano così: se un infortunio o un intervento chirurgico hanno dato luogo a perdita di sangue e questo si è raccolto in una cavità articolare o ha infarcito i tessuti che la circon-dano, la fibrina inizia subito ad addensarsi. 
La parte liquida del sangue si riassorbe e resta il collagene
Prima raccolto in piccoli fasci tenui e poco resistenti, poi in gossolani tralci di tessuto cicatri- ziale, tenace e anelastico. 
Le aderenze appunto. 
Tanto basta a ridurre l'escursione di una articolazione
Come corde troppo corte si tendono quando l'articolazione raggiunge un certo angolo e non permettono di portare a termine il movimento o di raggiungere l'ampiezza desiderata. 
In certi casi possono avviluppare l'articolazione come fossero una rete e bloccarla quasi del tutto o diventare spesse come un panno e occupare quasi per intero la cavità articolare rendendola rigida e dolente ai pochi movimenti possibili. 
Tutto si compie in poche settimane.
                       
A volte ne bastano tre, quattro come accade al gomito ingessato a causa di fratture, lussazioni o gravi distorsioni
Di qui le misure preventive. Interventi poco cruenti: quando è possibile scegliere meglio ricorrere a tecniche mininvasive come quelle artroscopiche che a tecniche a cielo aperto. 
Meno sangue meno aderenze
Svuotare aspirando con un ago le raccolte di sangue intrarticolari o gli ematomi se a giudizio dello specialista sono troppo abbondanti. 
Mantenere l'articolazione immobilizzata in gesso o con il tutore solo il minimo indispensabile.
                                  
Appena la frattura, la lesione dei ligamenti lo permettono iniziare la fisioterapia. 
Quest'ultima deve essere eseguita manualmente dal fisioterapista e mirare al precoce recu-pero del movimento. 
Una fisioterapia troppo blanda o compiuta in ritardo, spiana la strada alle aderenze.
 Fisioterapia: E' questione di buon senso, perché non esistono protocolli di riabilitazione che vanno bene per tutti. 
E' necessario valutare caso per caso e dosare in maniera opportuna la fisioterapia. 
Come se fosse un farmaco: risulta inutile se sotto dosata, dannoso se eccessiva. 
Una regola generale tuttavia esiste: mobilizzare l'articolazione infortunata o sottoposta ad un intervento chirurgico il più precocemente possibile. 
Le differenze possono essere notevoli. 
Dopo un intervento di ricostruzione del ligamento crociato anteriore del ginocchio la fisio terapia passiva può essere intrapresa anche dopo sole quarantotto ore. 
In caso di riparazione dei tendini della spalla (cuffia dei rotatori) è invece necessario as-pettare venti giorni con il braccio immobilizzato in un tutore prima di affidarlo alle cure del fi-sioterapista. 
Si tratta del tempo minimo indispensabile ad una valida cicatrizzazione delle suture interne. 
Tempi ancora più lunghi per certe fratture alla mano che interessano un piccolo osso ton-do: lo scafoide
Possono essere necessari anche tre mesi di immobilizzazione con il gesso perché la frattura formi il callo osseo e si consolidi.
E' l'ortopedico a dare il via e non ci devono essere ritardi anche se inizialmente la terapia può essere dolorosa. 
I movimenti devono essere effettuati gradualmente, con dolcezza e dopo adeguato riscalda-mento, ma devono tuttavia risultare decisi e mirare al pieno e precoce raggiungimento della escursione articolare su tutti i piani possibili di movimento. 
Esistono anche appositi apparecchi che compiono il lavoro del fisioterapista. 
Sono utili soprattutto per il ginocchio e nelle prime fasi della riabilitazione.
Si tratta di attrezzi leggeri e facilmente trasportabili anche a domicilio e dotati di motorino elet-trico. 
L'arto infortunato viene appoggiato sull'apparecchio che opportunamente impostato eseguirà la mobilizzazione passiva alla velocità, con l'ampiezza e per il tempo desiderati.
                        
A volte tuttavia ogni sforzo per mobilizzare l'arto risulta inutile: è come se fosse bloccato. 
Pochi gradi di movimento fino ad uno stop doloroso che non cede neanche agli sforzi dei fisioterapisti più vigorosi. 
Può trattarsi di un gomito fratturato, di un ginocchio sottoposta ad intervento di protesiz-zazione o di una spalla operata ai tendini, non fa differenza: se le indagini radiologiche mos-trano una buona riuscita dell'intervento, la causa della limitazione è quasi certamente la for-mazione di aderenze
In molti casi si può ottenere un buon risultato ricorrendo ad un breve sedazione: il paziente viene addormentato e l'ortopedico approfitta del completo abbandono muscolare per forzare l'articolazione
Le aderenze si rompono, producendo anche un secco effetto sonoro, e l'articolazione recu-pera immediata libertà di movimento.
Si tratta tuttavia di un trattamento che nei casi più severi non funziona: le aderenze non cedono. 
Insistere può anche essere pericoloso. 
Fratture, lussazioni e danni articolari le conseguenze più comuni di tentativi di sblocco articolare troppo energici. 
Meglio in questi casi intervenire con un intervento chirurgico mininvasivo per sbrigliare delicatamente le aderenze
L'artroscopia è il trattamento di elezione per le articolazioni bloccate dalle aderenze.
Ginocchio, spalla, gomito e caviglia le sedi più comuni, interessate dallo sviluppo di ade-renze
Possono messere la conseguenza di una frattura di una distorsione o di un trauma, non fa differenza. 
L'articolazione risulta limitata e dolente. 
Inutili i tentativi di forzare l'articolazione con la fisioterapia: non cede. 
Pericoloso lo sblocco manuale in narcosi, con il paziente sedato, per possibili danni articolari.
                                         Trapianto meniscale da cadavere
                                          Tendine rotuleo da donatore (allograft)
Meglio ricorrere alla tecnologia: fibre ottiche e radiofrequenze per eliminare una ad una le aderenze
Si tratta di interventi chirurgici compiuti attraverso minime incisioni cutanee. 
Si introduce in cavità articolare una microtelesanera con la quale è possibile ispezionare tutte le strutture interne: cartilagini, menischi e ligamenti
Su di un monitor appariranno ingrandite e dettagliate. 
Anche le aderenze se presenti. 
In genere si presentano come cordoni adrenti alla capsula articolare, o come lacci che attraversano la cavità articolare da una parte all'altra, bianchi e tenaci, isolate o numerose e intrecciate come una piatto di fettuccine fino ad occupare nei casi più severi l'intera cavità articolare
Devono essere tagliate una per una. 
Sotto il controllo della telecamera e osservando la precisione dei movimenti sullo schermo del monitor le aderenze vengono recise e rimosse con l'aiuto dei comuni ferri del mestiere: for- bici, taglienti, pinze e frese ridotte però ai minimi termini per passare attraverso i millimetrici accessi chirurgici.
Con l'uso delle radiofrequenze si può fare di più: le aderenze vengono dissolte all'istante in una bolla di gas. 
Si tratta di uno strumento che viene utilizzato nel corso di un intervento di artroscopia: si im-pugna come fosse una penna e ne ha anche l'aspetto, ma alla sua estremità e montata una minuscola, e potente antenna. 
Appoggiata sulla aderenza o sul tessuto che si desidera eliminare emette a piacimento del chirurgo radiofrequenze. 
Immediato l'effetto: il tessuto sfiorato si dissolve in una bolla di gas. 
Meglio del laser: niente sangue o superfici bruciate. 
Le temperature non superano mai i settanta gradi centigradi. Il movimento finalmente libero da vincoli interni è concesso dal giorno successivo all'intervento.
Spalla congelata. 
E' un caso a parte. 
La spalla diventa rigida e dolorosa senza un apparente motivo. 
Nessun infortunio, frattura, intervento o prolungata immobilizzazione che guistifica la limitazio- ne della spalla, dolente anche a riposo e di notte. 
Disturbi spesso attribuiti alla periartrite
Termine vago e forviante, che il più delle volte è causa di un vero calvario fatto di fisioterapie estenuanti quanto inutili e infiltrazioni di cortisone capaci solo di effimeri sollievi. 
Si tratta invece un problema della spalla che con le aderenze a molti caratteri in comune: una infiammazione della capsula articolare che sviluppa ispessimenti e aderenze
Di qui il nome che gli addetti ai lavori preferiscono: capsulite adesiva di origine poco chiara e, il disturbo che è forse di natura autoimmune, che è stata notata una prevalenza in pazienti affetti da diabete insulinodipendente, disturbi neurologici del rachide cervicale e niente più.
                     


Resta in sostanza una malattia tanto comune, quanto misteriosa. 
La diagnosi è soprattutto clinica: il braccio non può essere sollevato lateralmente che per pochi gradi sia attivamente che con l'aiuto del fisioterapista: oltre un certo limite il dolore e un impedimento meccanico non permettono il movimento.
Le radiografie della spalla non mostrano niente di anomalo così come gli esami più sofisticati R.M.N. e T.A.C. capaci di leggere solo sfumati segni indiretti non sempre chiari. 
C'è una soluzione. 
La capsulotomia: veloce, sicura e mininvasiva. 
Per via artroscopica la capsula articolare viene recisa e le aderenze eliminate. 
Niente sangue o punti di sutura, solo due o tre accesi cutanei per operare sotto il controllo della telecamera e delle fibre ottiche: gli strumenti a radiofrequenze distruggono aderenze e coagulano i tessuti
Il giorno dopo l'intervento devono essere intrapresi gli esercizi di mobilizzazione dell'arto ope-rato. 
Con decisione e senza ritardi: il rischio è la recidiva.
                                            
                             Fine
Pubblicato su Blogger oggi 01 dicembre 2012 alle ore 22,30 da: Giuseppe Pinna de Marrubiu

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