domenica 21 ottobre 2012

(Scheda 136) Continuiamo a parlare col Dott. Francesco Centofanti, di quella TEMIBILE INFEZIONE delle PROTESI ARTICOLARI.

QUELLA TEMIBILE INFEZIONE DELLE PROTESI ARTICOLARI

                             QUELLA TEMIBILE INFEZIONE DELLE PROTESI ARTICOLARIArticolo informativo di Giuseppe Pinna per S. O. S. - “Osteomielitici d’Italia” - Onlus «Centro Servizi Informativi On-line per Osteomielitici e Pazienti dell’Ospedale CODIVILLA-PUTTI di Cortina d’Ampezzo».                             
Infezione delle protesi articolari

Si verifica mediamente nel 2% dei casi anche in presenza di un’asepsi intraoperatoria ottimale, di una pro cedura chirurgica corretta e di una profilassi antibiotica adeguata.
Secondo i dati forniti dal dottor Francesco Centofanti, Direttore del Reparto di Ortopedia dell’Istitu-to Codivilla di Cortina, relativi alle infezioni protesiche trattate dal 1999 al 2008, su 1266 casi solo il 3% riguarda spallacaviglia e gomito mentre il 55% riguarda il ginocchio e il 42% l’anca.
                                    
           
Vista del Padiglione Alessandro Codivilla  
“Tutte le protesi dolorose sono infette fino a prova contraria, ma non tutte le protesi infette sono doloro-se”, dichiara Francesco CentofantiPrimario dell’Istituto Codivilla-Putti di Cortina d’Ampezzo, centro Osteomielitico noto per la cura e il trattamento delle infezioni ossee.
                               
Vista del Padiglione Vittorio Putti     
                     
“Non sempre infatti, la protesi dolorosa presenta un’infezione – continua l’esperto, forte dell’esperienza clinica su migliaia di pazienti che da tutta Italia si rivolgono al centro di Cortina.
– Potrebbe trattarsi invece di una protesi instabile e in questo caso, il trattamento medico e chirurgico cambia; è pertanto veramente importante che il medico faccia la diagnosi corretta nel minor tempo possibile per poter affrontare correttamente quello che, a mio parere, rappresenta un fallimento piuttosto che una com plicanza dell’intervento chirurgico”.
                                           
I REIMPIANTI SONO PIU’ A RISCHIO
Secondo Assobiomedica, ogni anno in Italia sono 3600 i nuovi casi di infezione con una maggiore incidenza del ginocchio rispetto all’anca, come confermano i dati dell’Istituto Codivilla-Putti, e con una spesa di 90-100 milioni di euro/anno.
Per esempio, il costo per una revisione di protesi di anca infetta è 2,8 volte quello di una revisione non settica, 4,8 volte quello di un impianto primario.
“L’incidenza delle infezioni protesiche tende ad aumentare nei reimpianti, cioè quando la protesi va sosti-tuita – afferma l’esperto – perché si tratta di un intervento che ‘agisce’ su una situazione già compromessa da un intervento precedente, dove la cute è già stata incisa, l’osso ‘modificato’ tanto da poter ospitare una pro- tesi. Insomma, con i dati di cui disponiamo oggi, è possibile prevedere che l’incidenza delle infezioni sui reimpianti tenderà sicuramente ad aumentare”.
COME SI INFETTA UNA PROTESI?
L’infezione più temibile è la periprotesica, ovvero l’infezione adesa alla protesi.
“Infatti, la superficie metallica dell’impianto costituisce un terreno ideale per la crescita dei batteri al riparo dalle difese immunitarie dell’organismo.
Per semplificare, – spiega Centofanti – i batteri posseggono una specie di ventosa chiamata glicocalice con cui aderiscono alla protesi.
Una volta che batteri aderiscono alla protesi creano un biofilm, una membrana di zuccheri e proteine nella quale si annidano i germi patogeni, che gli antibiotici non riescono a penetrare.
È per questo motivo che è così difficile trattare le infezioni periprotesiche”.
                               
QUANDO SI INFETTA?
“Una protesi si può infettare subito dopo l’intervento, comunque entro 3 mesi, e viene definita acuta; dopo 3 mesi viene chiamata subacuta e dopo 2 anni tardiva” dice il chirurgo ortopedico di Cortina.
Acuta, significa che l’infezione è stata contratta in sala operatoria, anche se oggi sono piuttosto rare; le in-fezioni subacute e tardive sicuramente non sono imputabili a infezioni contratte durante l’intervento ma derivano da setticemie o batteriemie già presenti, come per esempio focolai settici dentaricutaneiurinarirespiratorivasculopatie periferichepregressi interventi o infiltrazioni articolari nella stessa sede.”
CHI E’ PIU’ A RISCHIO?
“Esistono persone che sono più a rischio di infezione rispetto ad altre – continua Francesco Centofanti. – Generalmente si tratta di persone con una o più patologie coesistenti, che quindi potrebbero andare incontro più facilmente a un’infezione di protesi.

Diabeticipazienti affetti da tumoregrandi obesi oppure persone molto magrecoloro che hanno già altre infezioni concomitanti; chi fa uso di droghe o alcool, oppure fuma; chi è affetto da epatite oppure HIV.
Anche l’età, ovvero i grandi anziani che hanno superato gli 80 anni sono maggiormente a rischio di infe-zione”.
                   
COSA FARE QUANDO E’ PRESENTE L’INFEZIONE?
Il primo sintomo riferito dal paziente è il dolore; compito del medico è fare la cosiddetta diagnosi differen-ziale, ovvero stabilire se si tratta di una infezione oppure di mobilizzazione di protesi.
“Nell’infezione superficiale o precoce, si può tentare la chirurgia conservativa – spiega il responsabile del Reparto di Ortopedia dell’Istituto Codivilla-Putti.
– Attraverso un’incisione cutanea superficiale dell’area in cui è presente l’infezione si provvede al lavaggio e alla medicazione.
Infine, si richiude e l’intervento può, in molti casi, definirsi risolutivo.
Quando l’infezione è profonda, invece, è necessario rimuovere la protesi e reimpiantarne una nuova – sot-tolinea Francesco Centofanti.
– Nel caso di infezione, l’intervento può svolgersi in unico atto operatorio o in due interventi diversi”.

La chirurgia ‘one-stage’, in un unico atto operatorio, è indicata nelle infezioni a bassa virulenza e prevede la rimozione dell’impianto e del cemento, l’asportazione del tessuto necrotico e cicatriziale, il reimpianto con ce mento antibiotato, ovvero a lento rilascio di antibiotico nella sede dell’infezione.
La chirurgia ‘two-stage’, ovvero in due atti operatori distinti, attualmente considerata il golden standard nel trattamento delle infezioni periprotesiche, si effettua in due tempi: prima avviene la rimozione dell’artro-protesi infetta che viene sostituita da uno spaziatore custom-made o preconfezionato costruito con cemen-to antibiotato; dopo massimo 4 mesi lo spaziatore viene rimosso e si procede con l’impianto di una nuova protesi.
La funzione dello spaziatore di cemento con antibiotico è di tipo meccanico, ovvero preserva i piani musco- lari mantenendone la lunghezza e la tensione, e biologica, poiché rilascia antibiotico ad alta concentrazione nel focolaio di infezione.
“In entrambi i casi, la terapia antibiotica è spesso PCP, acronimo che abbiamo coniato al Centro di Cortina, che sta per PeriodicaCiclica e Perenne.

Significa che, anche se la risoluzione con l’intervento chirurgico avviene nell’80% dei casi, la guarigione po-trebbe non essere definitiva e quindi richiedere periodici cicli di terapia – prosegue l’esperto.
– Per definire la terapia è necessario riuscire a identificare e isolare, il più velocemente possibile, il germe patogeno responsabile dell’infezione.
Infatti la non identificazione del germe, purtroppo, è spesso alla base del fallimento della cura – conclude il dottor Centofanti.
– Per questo motivo iniziare subito una terapia antibiotica a largo spettro non significa iniziare a debellare l’infezione ma, al contrario, potrebbe significare il fallimento della cura”.
Per maggiori informazioni www.codivillaputti.it
                

                 

 

         

                       
                     
                       
             
                       Fine
Pubblicato su Blogger oggi 21 ottobre 2012 alle ore 22,30 da: Giuseppe Pinna de Marrubiu

(Scheda 135) ARTROSI dell'ANCA, quando la PROTESI risolve il problema.

           ANCA, QUANDO LA PROTESI RISOLVE L’ARTROSI
                               
Articolo informativo di Giuseppe Pinna per S. O. S. - “Osteomielitici d’Italia” - Onlus «Centro Servizi Informativi On-line per Osteomielitici e Pazienti dell’Ospedale CODIVILLA-PUTTI di Cortina d’Ampezzo».

Complice l’aumento dell’età media degli italiani e, di conseguenza, l’incidenza delle patologie correlate alla de generazione articolare, l’intervento di protesi d’anca è tra i più richiesti dai pazienti
                        
Il professor Giorgio Turi ex primario del Reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Vicenza, ed ora fresco collaboratore a contratto dell'Istituto Codivilla-Putti di Cortina D'Ampezzo; ci aiuta a fare chiarez-za tra indicazioni, rischi, riabilitazione e benefici.
Il professor Giorgio Turi, nuovo coordinatore scientifico presso l’Istituto Codivilla-Putti.con il dottor Massimo Miraglia (foto Feliciana Mariotti - www.ilnotiziariodicortina.com)
                              

Il professor Giorgio Turi, originario di Alberobello, laureato in Medicina e chirurgia si è specializzato in ortopedia e traumatologia. 
E' stato primario Ortopedico traumatologo a Belluno dal 1993 al 2002 e a Vicenza dal 2002 ad oggi. 
Ha lasciato la sanità pubblica nel dicembre 2011, dopo 42 anni di attività. 
E' professore a contratto presso le Università di Verona e Udine, lo è stato presso l’Università di Varese.
Ha eseguito oltre 7.500 interventi chirurgici nella branca dell’ortopedia e traumatologia.
Ha partecipato a numerosi congressi nazionali e internazionali. 
E' autore di oltre 150 pubblicazioni scientifiche.
Andando in pensione ha incontrato il consigliere delegato e direttore generale dottor Massimo Miraglia del Grup-po Giomi, che gestisce il Codivilla-Putti con l’ULSS n.1 di Belluno, e ha ricevuto la proposta di entrare a far par- te dello staff della struttura ampezzana.


Oltre a svolgere l’attività clinica-operatoria per i suoi pazienti nel reparto ortopedico del primario dottor Federico Botto del CodivillaTuri dovrà curare i rapporti con le Università, specialmente quelle del Veneto, coordinare cor si e congressi, stimolare e raccogliere le pubblicazioni scientifiche prodotte all’interno dell’Istituto, attivare e sos- tenere studi sperimentali su farmaci o devices e percorsi terapeutici, sostenere la definizione-aggiornamento di li- nee guida e protocolli specialmente al Padiglione Putti
Naturalmente queste attività verranno svolte avvalendosi della collaborazione con i primari e i medici dell’Istituto.
“La scelta di accogliere il professor Turi – ha affermato il dottor Massimo Miraglia – coincide con la sfida intra-presa di continuare a rilanciare la struttura a livello nazionale, potenziando l’attività scientifica”.
                                                           
                                        Vista del Padiglione Alessandro Codivilla    
                          
                  
                                            Vista del Padiglione Vittorio Putti     

“L’indicazione all’intervento di artroprotesi d’anca – spiega Giorgio Turi – non ha un’indicazione assoluta: di pende dalla capacità dell’ammalato di convivere con il suo problema, a volte molto invalidante e rappresentato da dolore costante, intenso e da impotenza funzionale articolare che può portare, se non si interviene, a un grave disagio motorio. 
In tal caso l’indicazione può diventare assoluta (ovvero l’intervento diventa necessario), come quando il pa-ziente, a causa di altre patologie, cardiache, polmonari, o di altra natura, ha necessità di muoversi e ne è im- pedito dal problema articolare”.
Proprio perché l’intervento non ha un’indicazione assoluta, le terapie conservative possono rappresentare, temporaneamente e soltanto nelle fasi iniziali della malattia, una alternativa al trattamento chirurgico. 
“Tra le terapie conservative, per esempio, trovano indicazione la riabilitazione, la terapia farmacologica e, a volte, il trattamento con infiltrazioni di acido ialuronico, componente della cartilagine articolare. 
Esiste però una storia naturale della patologia che difficilmente può essere condizionata da trattamenti di tipo conservativo – afferma l’esperto. 
– Certamente tali terapie sono efficaci a rallentare l’aggravamento della malattia, forse anche a procrastinare l’intervento, ma il paziente dovrà sapere che non sono risolutive”.
                       
DIETA, CONTROLLO DELLO STILE DI VITA E ATTIVITÀ FISICA TRA LE TERAPIE CONSERVATIVE
“Non ingrassare e magari provare a dimagrire è importante per rallentare la velocità di evoluzione della ma-lattia – dichiara il professore. 
– Basti pensare all’evoluzione della malattia in un soggetto che sovraccarica l’articolazione con un peso im-portante rispetto a chi, avendo la stessa patologia articolare, è magro. 
I consigli che diamo a chi decide di non affrontare l’intervento chirurgico subito, vanno sia nella direzione del controllo del peso attraverso la dieta sia dell’attività fisica purché questa non rappresenti un motivo di ulte-riore stress per le articolazioni
Ad esempio, se un paziente ama andare in bicicletta, è meglio che faccia 30 km su un terreno piano rispetto a 10 km in salita” conclude il chirurgo.
           
           
                                          
ARRIVARE ALL’INTERVENTO FA MENO PAURA CHE IN PASSATO
“Esistono differenti tipi di protesi – continua Giorgio Turi
– Già da qualche anno stanno prendendo piede protesi più piccole che risparmiano una maggiore porzione di osso femorale
Scegliendo questo tipo di protesi, l’ortopedico deve essere sicuro che il paziente non sia affetto da osteo- porosi
Infatti, in caso di presenza di rarefazione ossea, il paziente ha bisogno di un altro tipo di protesi che abbia una superficie di contatto con l’osso maggiore rispetto a quella mini-invasiva delle protesi più piccole”. 
             
Nel 5-10% dei casi, il paziente può essere giovane e l’indicazione all’intervento può essere rappresentata dagli esiti gravi e invalidanti di un incidente traumatico pregresso. 
“In questo caso, la tipologia di protesi dipende dall’entità del danno subito, in particolare da quanto è conser-vata la morfologia dell’articolazione dopo il trauma. 
Se la morfologia dell’anca, per esempio, è abbastanza conservata, si può usare anche una mini-invasiva o una protesi di rivestimento
Quest’ultima, rispetto alle protesi mini invasive, non è consigliabile nelle donne soprattutto dopo una certa età, per la possibilità di insorgenza dell’osteoporosi del collo femorale che, pertanto, diventerebbe una zona di minore resistenza.
          
A QUALE ETÀ È INDICATO L’INTERVENTO DI ARTROPROTESI? 
Genericamente l’intervento di protesi d’anca è indicato in pazienti di oltre 60 anni anche se, come sottolinea il professor Turi, è stato superato il concetto che la protesi debba essere applicata da una certa età in poi per-ché l’indicazione all’intervento dipende non tanto dall’età anagrafica del paziente ma da quella biologica, cioè dalla qualità dell’osso, dagli stili di vita e dall’ambiente in cui il paziente vive.
          
DOPO L’INTERVENTO, LE POSSIBILITÀ DI STAR BENE SONO MOLTO ELEVATE (96-98%)
“Soltanto il 2-4% può presentare problemi di carattere locale e/o generale, spesso correlati a patologie già esis tenti (diabete, patologie cardiovascolari, ecc.)
In questo 4% rientrano anche le protesi dolorose, talvolta messe in relazione (ma non necessariamente lo so-no) con un’infezione latente, spesso a insorgenza subdola.
L’infezione incide per una percentuale molto piccola pari a circa 1%; nonostante la profilassi antibiotica e qual sivoglia precauzione in sala operatoria, può capitare che si verifichino infezioni post-chirurgiche – spiega Giorgio Turi
– Sono sempre meno frequenti ma la possibilità è sempre presente”.
              
               
DOPO L’INTERVENTO STAMPELLE, NESSUNA FRETTA DI RECUPERO IMMEDIATO, MA SOPRATTUTTO NON ESAGERARE NELLA TERAPIA RIABILITATIVA
“In linea di massima, ritengo che dopo l’intervento il paziente debba rimanere a letto per 1-2 giorni se non se la sente di alzarsi immediatamente. 
Dipende dalla reattività del paziente: alcuni vanno stimolati, altri vanno frenati. 
In ogni caso, la terapia riabilitativa, di solito standardizzata, deve essere praticata con scrupolo prima di ri-prendere le abitudini quotidiane. 
Anche lo sport non è sconsigliato ma dipende dal tipo di sport: certamente non il calcio che è uno sport da con-tatto; non la corsa, perché ogni volta che l’articolazione viene sollecitata in sovraccarico lo stress a cui viene sottoposta è importante e può risultare dannoso per la protesi
Quindi, via libera a bici, nuoto, sci soprattutto per gli sciatori esperti. 
Insomma, quanto più impegnativo per quella articolazione è lo sport meno è consigliato. 
Se poi per il paziente è importante, e si sente di farlo…”
               
                                

                       Fine


Pubblicato su Blogger oggi 21 ottobre 2012 alle ore 19,32 da: Giuseppe Pinna de Marrubiu