lunedì 26 novembre 2012

(Scheda 168) Grazie alla terapia iperbarica evitata la protesi per necrosi bilaterale alla testa del femore.


    Necrosi bilaterale alla testa del femore: 
   grazie alla terapia iperbarica evitata la protesi
Articolo informativo di Giuseppe Pinna per S. O. S. - “Osteomielitici d’Italia” - Onlus «Centro Servizi Informativi On-line per Osteomielitici e Pazienti dell’Ospedale CODIVILLA-PUTTI di Cortina d’Ampezzo».  
                           
13 novembre 2012 - Scritto dalla Redazione - Nessun commento in risposta a questo articolo.
                                  1ª Parte                                    
Questa è la storia di Elio, un signore di 61 anni, a cui nel 2010 è stata diagnosticata una necrosi bilaterale alla testa del femore con iniziale collasso a destra.
                                                    
Nel settembre del 2010 Elio è arrivato al Centro Iperbarico di Ravenna per fare 40 sedute di camera iperbarica come “ultima spiaggia”
Tutti i medici che lo avevano visitato quel momento erano poco convinti dell’efficacia della tera pia iperbarica per curare la sua patologia e l’unica soluzione sembrava quella di mettere una protesi o di passare il resto della vita in carrozzina. 
Tutti erano così rassegnati sulle sue condizioni che Elio aveva già preso appuntamento con il medico che gli avrebbe progettato la protesi.
                   
Nonostante la malattia fosse già ad uno stadio molto avanzato, le sedute di camera iperbari- ca hanno avuto su di lui effetti straordinari: non solo Elio non ha dovuto mettere la protesi, ma non c’è stato nemmeno bisogno di effettuare alcun intervento chirurgico!
Da quel momento, ogni anno Elio va al Centro Iperbarico di Ravenna a fare un ciclo di tera-pia iperbarica per mantenere i risultati ottenuti: nel 2011 ha fatto 20 sedute di camera iperba-rica e nel 2012 altre 40. 
Oggi è talmente entusiasta dei miglioramenti che addirittura vorrebbe che gli ortopedici gli pre- scrivessero un altro ciclo!
Oltre le sedute di ossigenoterapia iperbarica, per chi soffre o ha sofferto di queste patologie è molto importante anche l’esercizio fisico: Elio infatti ogni settimana va a nuotare in piscina per mantenere le condizioni raggiunte. 
Ma fondamentale in questi casi è anche il fattore tempo, ovvero riuscire ad affrontare il proble-ma appena compaiono i sintomi: prima si inizia con la terapia iperbarica, prima si guarisce.
                     
    
Protesi dell'Anca

                             
Quando nel 1913 alla Northwestern University Medical School di Chicago il famoso chirurgo ad dominale JB Murphy eseguì il primo tentativo di alleviare le sofferenze di un paziente affetto da artrosi dell’anca che non era più in grado di camminare, non poteva immaginare quanta strada avrebbe fatto la sua idea di ripristinare chirurgicamente la funzione perduta di un’artico-lazione. 
Quel primo tentativo consistette nell’interporre una fascia fibrosa tra le due parti ossee dell’ar-ticolazione che aveva perso ormai la sua capacità di movimento per la completa usura della cartilagine
A quel tentativo ne seguirono molti altri, promossi da altrettanti pionieri della chirurgia, fatti di soluzioni tanto originali quando incerte nei risultati: cupole di rivestimento dei materiali più dis-parati o sfere metalliche di sostituzione della testa femorale impiantate nel femore con steli metallici
               
 
       
           
Gli innumerevoli inconvenienti associati a questi primi tentativi erano scoraggianti: alcuni ma-teriali si usuravano precocemente, altri provocavano delle reazioni infiammatorie e di rigetto, e la maggior parte di questi dispositivi tendeva a scollarsi dall’osso dopo pochi anni facendo ri-cadere il paziente nel dolore e nell’immobilità.
Finalmente alla metà degli anni ’60, un geniale chirurgo ortopedico inglese, John Charnley, diede forma alle protesi articolari per l’anca così come oggi le conosciamo. 
Scelse una resina epossidica, usata anche per comporre il plexiglass e già nota ai dentisti, il polimetilmetacrilato, per fissare le sue protesi all’osso, ed una plastica particolare, il polietile-ne ad alto peso molecolare, per garantire un elevato scorrimento ed una bassa usura alla sua articolazione artificiale. 
Le sue protesi, definite “cementate” per l’utilizzo del polimetilmetacrilato come fissatore, di-mostrarono finalmente di poter durare per molti anni assicurando al proprio portatore di poter camminare a lungo e senza dolore. 
Oggi, a quasi cinquant’anni da quell’invenzione, solo in Italia vengono eseguiti oltre 50.000 in-terventi di sostituzione dell’anca con una protesi artificiale. 
Se confrontati anche con le migliori aspettative di Charnley, i risultati delle attuali protesi d’an ca possono considerarsi lusinghieri. 
  
             
                  
I dati raccolti da diversi studi e da alcuni registri nazionali come quelli Svedese e Norvegese ci confermano che per i modelli migliori impiantati negli anni ’90, la sopravvivenza stimata ad og-gi è superiore al 90%, vale a dire 9 pazienti su 10 dopo 15 anni circa non hanno avuto bisogno di un altro intervento perché la loro protesi è ancora vincolata all’osso e funzionante.
Questo fa delle protesi d’anca uno degli interventi chirurgici di maggior successo nel campo di tutta la Medicina. 
Infatti, quando in uno studio di qualche anno fa si sono confrontati diversi interventi chirurgici sul la base dell’entità del vantaggio funzionale e della sopravvivenza garantiti nel tempo in relazio- ne ai costi, l’intervento di protesi d’anca è risultato il terzo intervento più vantaggioso dietro alla craniotomia (l’apertura di un piccolo foro nel cranio per svuotare gli ematomi cranici) e all’applicazione dei pacemaker, ma davanti ai trapianti di rene e cuore.
                 

Primo impianto in Europa 

di protesi di femore con argento

Primo impianto in Europa di protesi di femore con nuova tecnologia basata sulle capacità an- tibatteriche dell'argento
L’intervento è stato eseguito al Centro Traumatologico Ortopedico CTO dell’Azienda ospe-daliero-universitaria Careggi di Firenze da un’equipe guidata dal professor Rodolfo Capan-na, su un paziente con una precedente complicanza infettiva
Il decorso a sette giorni dall’operazione è regolare. 
La tecnologia impiegata, per realizzare la nuova protesi, si avvale dell’effetto antibatterico dell’argento, effetto noto da tempo alla scienza medica.
L’innovazione consiste nella capacità dei nuovi materiali di aumentare l’efficacia degli ioni antibatterici e apre una nuova speranza di prevenzione delle infezioni ossee che dovrà essere confermata da studi attualmente in corso.
                            
Protesi Protesi 
Cos'è la Displasia dell'Anca 
e la chirurgia Protesica

La displasia dell’anca è una malformazione congenita relativamente frequente la cui inciden za nelle popolazioni di razza bianca oscilla tra l’1% ed il 5% prediligendo il sesso femminile con un rapporto che può giungere nei confronti dei maschi fino a 5:1. 
Recentemente, si è deciso di abbandonare la definizione displasia congenita dell’anca (con genital dysplasia of the hip – CDH) in favore della formula displasia dello sviluppo dell’an- ca (developmental dysplasia of the hip - DDH) che illustra più compiutamente il fatto che le al-terazioni anatomiche che si osservano in questa patologia hanno sì origine da una alterazione di sviluppo avvenuta in epoca prenatale, ma che tali alterazione evolvono durante tutto il perio do della crescita dell’individuo. 
L’esito finale che si potrà osservare in età adulta dipenderà quindi dall’entità dell’alterazione congenita iniziale, dalle modalità di sviluppo a cui andrà successivamente incontro l’articola- zione anche in relazione agli stimolo meccanici a cui sarà sottoposta, nonché alla precocità ed all’efficacia dei possibili rimedi terapeutici che le saranno dispensati. 
Queste brevi considerazioni rendono conto di come si possano osservare quadri anatomo-patologici di DDH estremamente variabili per gravità (fig.1).
Figura 1. 
Classificazione di Crowe: sistema di calcolo del grado di displasica dell’anca (H = altezza del bacino, d =
distanza goccia radiologica – margine inferiore giunzione testa-collo).
             
La classificazione più utilizzata e più utile, perché consente di quantificare l’alterazione anato-mica, è quella di Crowe
Essa calcola l’entità della dislocazione verticale della testa femorale rispetto al paleocotile in percentuale rispetto al diametro della testa femorale stessa. 
Ma poiché nelle forme più gravi, la testa femorale può presentarsi gravemente alterata ed ad-dirittura assente, il calcolo percentuale viene reso possibile da una formula che tiene conto del
l’altezza globale del bacino (fig.1)
Le lussazioni inferiori al 50% vengono definite di grado I, quelle tra il 50% ed il 75% di grado II, quelle tra il 75% ed il 100% di grado III e quelle superiori al 100% di grado IV (fig.2).
Figura 2. 
La displasia dell’anca trova la sua origine in un difetto embriologico di gravità variabile che può evolvere con mo dalità differenti in epoca postnatale fino a dar luogo in età adulta a quadri di sovvertimento anatomico molto diversi tra loro come quelli osservabili in questi quattro esempi in cui è riportato il grado di displasia secondo la classificazione di Crowe.
           
Le alterazioni anatomiche in corso di DDH interessano sia l’acetabolo che l’estremo prossi-male del femore.
Nelle forme di displasia meno gravi, l’acetabolo è più piccolo ed evidenzia una ridotta pro-fondità. 
Il tetto acetabolare è spesso sfuggente e corto e la parete anteriore è ipoplasica mentre quella posteriore mantiene un certo grado di consistenza (fig.3).
Figura 3. 
Confronto di una sezione TAC a livello del terzo medio dell’acetabolo in un soggetto con coxartrosi primitiva (A) e in un soggetto con artrosi secondaria a displasia dell’anca nel quale si evidenzia la ipoplasia della parete ante riore dell’acetabolo (freccie) e la retroposizione del trocantere (B).
                  
Nei casi di lussazione, il cotile si colloca in una sede diversa da quella originaria e si presenta come una neoarticolazione in corrispondenza della parte esterna dell’ala iliaca con l’appog-gio della testa femorale assicurato da un tetto osteofibroso e da una capsula ipertrofica. 
Le alterazioni a carico del femore comprendono le alterazioni di orientamento a carico di collo e di forma a carico della testa e l’aumento della torsione femorale
Il terzo prossimale del femore può presentarsi ipoplasico con un canale midollare di pic-cole dimensioni e con una retroposizione del gran trocantere che altera la funzione muscolare. 
La DDH rappresenta una delle cause più frequenti di indicazione alla protesi totale d’anca nell’adulto. 
Si può ricordare che il dolore nell’anca displasica è precoce – in media compare nelle donne a 37 anni e nell’uomo a 54 – e spesso precede le alterazioni radiografiche. 
All’età di 60 anni il 50% dei soggetti con un anca displasica ha già subito un intervento al-l’anca. 
L’applicazione di una protesi d’anca è una delle possibili soluzioni per i pazienti affetti da DDH. 
E’ intuitivo che le alterazioni anatomiche che si possono incontrare pongono dei problemi ag-giuntivi tanto che nei primi anni settanta si considerava la displasia come una possibile con-troindicazione all’applicazione di una protesi d’anca. 
Questa pregiudiziale è stata superata e grazie a soluzioni tecnologicamente avanzate oggi i ri-sultati delle protesi d’anca applicate su pazienti con displasia sono buoni. 
La possibilità di ottenere risultati soddisfacenti è strettamente correlata alla conoscenza dell'anatomia patologica dell'anca displasica e alla disponibilità di soluzioni articolate. 
  
Quali Protesi utilizzare
Il paziente con DDH è spesso un paziente relativamente giovane con una anatomia dell’anca alterata
In quest’ottica, quando è indicato l’intervento di sostituzione articolare con una protesi totale la nostra filosofia di approccio si basa su due principi: 
 
1. Correggere le alterazioni anatomiche per ripristinare un corretto centro di rotazione del-l’anca.
La possibilità di ripristinare un corretto centro di rotazione in un anca displasica ha una du-plice utilità. 
In primo luogo, quella di ricreare una normale biomeccanica dell’anca ed una corretta lunghez za degli arti. 
In questo modo le leve muscolari funzionano meglio e per il paziente il cammino è più facile e naturale. 
In secondo luogo è dimostrato che se il centro di rotazione è correttamente posizionato la pro tesi si usura meno e a sua durata è maggiore.
                             
2. Ricercare un sistema di ancoraggio biologico per una maggior durata dell’impianto protesi-co.
Un buon ancoraggio biologico può essere ottenuto tramite l’utilizzo di trattamenti della super-ficie degli impianti con materiali (per esempio il titanio) o sostanze (per esempio l’idrossiapa-tite) che permettono la creazione di superfici rugose con precise caratteristiche spaziali che favoriscono la crescita e l’adesione del tessuto osseo alla superficie. 
Maggiore sarà il contatto tra osso e protesi più salda e duratura sarà la protesi
Nei pazienti displasici talora è opportuno applicare steli protesici su misura che ricalcano la forma del canale midollare e quindi assicurano la massima superficie di contatto tra protesi e osso.
 
Protesi modulari con pianificazione preoperatoria tridimensionale
Nella forme iniziali ed intermedie di DDH (Crowe 1 e 2) ed in molti soggetti giovani scegliamo di applicare delle protesi in titanio rivestite di idrossiapatite non cementate di forma anato-mica che hanno la possibilità di applicare colli di diversa lunghezza e orientamento, la cui ap-plicazione è pianificata mediante un innovativo sistema di pianificazione tridimensionale com-puterizzato (fig.4 e 5).
Figura 4. 

Radiografia di un caso operato con protesi modulare. 
La protesi anatomica modulare rivestita di idrossiapatite da buone garanzie di ancoraggio biologico e di ricos truzione del centro di rotazione dell’anca in pazienti con displasie di grado lieve o moderato e può essere util-mente usata nei pazienti giovani per i quali si ricerca una particolare durata degli impianti protesici.
Figura 5. 

Un innovativo sistema di pianificazione preoperatoria tridimensionale, a partire da una TAC ad alta risoluzione dell’anca da operare, permette al chirurgo di pianificare la scelta delle dimensioni dello stelo protesico, del  coti
le e lunghezza ed orientamento del collo modulare da applicare allo stelo. 
Il sistema riduce le incertezze ed i rischi intraoperatori, consente di ottenere il miglior contatto osso protesi e la miglior ricostruzione del centro di rotazione e della lunghezza degli arti.
I vantaggi sono i seguenti:
1. La forma anatomica dello stelo protesico ed il rivestimento in idrossiapatite garantiscono le migliori possibilità di un ancoraggio biologico;
2. L'uso della pianificazione tridimensionale e la modularità del collo femorale e delle teste protesiche danno al chirurgo le migliori possibilità di una corretta ricostruzione del centro di rotazione dell’anca.
              
Protesi su misura
Nelle forme maggiori di DDH (Crowe 3 e 4) le alterazioni anatomiche sono così importanti da richiedere soluzioni particolari perché le protesi standard spesso non possono adattarsi alle piccole dimensioni dell’acetabolo e del canale midollare femorale e alle alterazioni torsio-nali del femore
In questo caso noi utilizziamo delle protesi prodotte su misura per ogni singolo paziente: so-no protesi di titanio rivestite di idrossiapatite che vengono applicate senza cemento. 
Tramite una serie di esami radiologici (RX tradizionali, RX degli arti inferiori in carico e TAC del l’anca, del ginocchio e del piede) è possibile risalire a tutti i parametri dimensionali del pazien-te (lunghezza e asimmetria degli arti inferiori, orientamento del collo femorale, della regione metafisaria del femore, del ginocchio e del piede, forma e posizione dell’acetabolo e forma e dimensioni del canale midollare femorale) (fig.6).
Figura 6. 

Gli esami radiologici per la produzione di una protesi su misura consentono di ricostruire al computer in maniera virtuale l’anca del paziente. 
In questo modo è possibile progettare uno stelo femorale che si adatti perfettamente al femore del paziente e che possieda un collo femorale con l’orientamento e la lunghezza necessarie al corretto ripristino del centro di rotazione proprio di ciascun paziente.
Gli stessi esami ci danno la possibilità di calcolare la posizione migliore del centro di rotazione dell’anca (fig.7).
Figura 7. 

Pianificazione preoperatoria e realizzazione della ricostruzione di un corretto centro di rotazione in due casi di anca displasica.
Quando lo stelo femorale verrà fabbricato esso riprodurrà fedelmente la forma del canale fe morale dove andrà a posizionarsi ed il collo della protesi avrà una lunghezza ed un orienta-mento studiati per ripristinare il centro di rotazione progettato al computer per quel preciso paziente (fig.8).
Figura 8. 

Esempio di due compattatori che riproducono fedelmente la forma di due protesi su misura impiantate in due diversi pazienti. 
Si può facilmente notare la forma esclusiva di ciascuno, che si differenzia per lunghezza e forma dello stelo e lunghezza ed orientamento del collo. 
I vantaggi sono i seguenti:
1. Una protesi costruita su misura per ciascun paziente rende l’intervento tecnicamente più fa cile e riduce la complicanze intraoperatorie che sono più facili laddove, come nelle displasie gravi, l’anatomia normale è fortemente alterata e la qualità dell’osso non è ottimale;
2. Lo stelo protesico si adatta alla forma del canale midollare e garantisce quindi la massima possibilità di un ancoraggio biologico; 
3. La pianificazione computerizzata e la possibilità di progettare liberamente orientamento e lunghezza del collo femorale permettono di ricostruire con precisione il centro di rotazione vo luto e di conseguenza è possibile ottenere anche nei casi difficili una buona funzionalità musco lare ed ridotta usura delle componenti protesiche.

Fine 1ª Parte
Pubblicato su Blogger oggi 26 novembre 2012 alle ore 15,14 da: Giuseppe Pinna de Marrubiu

Nessun commento:

Posta un commento