mercoledì 8 agosto 2012

(Scheda 67) Il Trattamento delle spondilodisciti con OTI - Centro Iperbarico di Ravenna.

Il Trattamento delle spondilodisciti con OTI
Articolo informativo di Giuseppe Pinna per S. O. S. - “Osteomielitici d’Italia” - Onlus  «Centro Servizi Informativi On-line per Osteomielitici e Pazienti dell’Ospedale CODIVILLA-PUTTI di Cortina d’Ampezzo».
    
Risponde il Dr. Pasquale Longobardi
Pasquale Longobardi

Fammi una domanda, chiedimi un opinione. 
In questa sezione trovi consigli e maggiori spiegazioni sulla terapia iperbarica. 
Il trattamento delle ferite difficili e la subacquea.
                                                                   

Dr. Moreno Pozza al Convegno annuale EUBS a Istanbul 14-18- settembre 2010.
Il Comitato scientifico della European Underwater Baromedical Society - EUBS ha accettato il lavoro scien- tifico del Centro Iperbarico Ravenna sul trattamento delle spondilodisciti con ossigeno terapia iperbarica (OTI) come comunicazione orale presso il convegno che si terrà dal 14 al 18 settembre a Istanbul.
Belgrade, host city to EUBS2012

Al convegno il Centro Iperbarico Ravenna sarà rappresentato dal Dr. Moreno Pozza, coautore dello studio Hyperbaric Oxygen Therapy as Adjuvant Therapy in Spondylodiscitis in cui si dimostra che l’ossige- noterapia iperbarica favorisce in maniera significativa il successo nel trattamento della spondilodiscite.
Questa bella notizia, che rende tutti gli operatori del Centro Iperbarico molto orgogliosi, è stata preannun-ciata con queste parole:
“Thank you very much for the submission of your abstract to 36th Annual Meeting of the European Underwater and Baromedical Society which will be held between the dates of 14th September – 18th September, 2010 in Istanbul, Turkey.
We are pleased to inform you that your abstract entitled ‘Hyperbaric Oxygen Therapy As Adjuvant Therapy In Spondylodiscitis’ has been accepted as ‘Oral presentation’ by the Scientific Committee.”
Lo studio Hyperbaric Oxygen Therapy as Adjuvant Therapy in Spondylodiscitis effettuato dal Dott. Pasquale Longobardi, Moreno Pozza Gioacchino Leandro, dimostra che l’ossigenoterapia iperba- rica favorisce in maniera significativa il successo nel trattamento della spondilodiscite, cioè di una grave infe zione dei dischi intervertebrali che generalmente viene trattata con antibiotici, riposo assoluto, immobilizza-zione e, a volte, intervento chirurgico.
Lo studio si basa su una metodologia di lavoro attuata nel Centro Iperbarico di Ravenna e che ha coinvolto 22 pazienti. 
Ecco una breve sintesi di ciò che è stato fatto e dei risultati ottenuti:
Metodologia
Dal 1 gennaio 1999 al 1 Giugno 2010, 27 pazienti con diagnosi di spondilodiscite, sono stati visitati presso il Centro Iperbarico di Ravenna
Ventidue pazienti sono stati trattati con una media di 31,4 trattamenti (range 15-85) di ossigeno iperbarico (253 kPa per 90 minuti per 5 giorni alla settimana).
Il gruppo di pazienti includeva 12 uomini e 10 donne con un’età media, all’inizio del trattamento, di 52,4 anni (range 31-74). 
Dei pazienti 12 avevano la diagnosi di spondilodiscite post-chirurgica, 3 di spondilodiscite tubercolare e 7 con diversa eziologia. 
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a risonanza magnetica (RMN) e ad esami del sangue con  ricerca degli indici di infiammazione (velocità di sedimentazione degli eritrociti, proteina C-reattiva e il fattore I) sia all’inizio che al termine del trattamento e durante i controlli successivi.
Dati alla mano, sembra proprio che l’ossigenoterapia iperbarica, possa essere un adiuvante nel trattamen- to delle spondilodisciti.
Risultato
Ventuno pazienti trattati su ventidue (95,5%) hanno riferito un miglioramento soggettivo o la risoluzione del dolore. 
Sette pazienti (31,8%) hanno mostrato un miglioramento negli indici ematochimici di infiammazione e, otto pazienti (36,6%) hanno avuto un miglioramento nelle immagini della risonanza magnetica (RMN). 
Due pazienti (9,09%), inoltre, hanno mostrato un miglioramento sia degli indici di infiammazione che della risonanza magnetica.
Casi e approfondimenti
In relazione a questa patologia segnaliamo il doloroso caso di Mara, 44 anni che dopo un intervento chirurgi- co per curare un’ernia  ha contratto un’infezione delle vertebre, cioè è affetta da spondilodiscite
Il 31 luglio Mara ha iniziato lo sciopero della fame che dichiara di voler continuare “ad oltranza, fino a quan do non riceverò giustizia contro chi mi ha distrutto la vita; e spero nella solidarietà di chi mi vorrà stare accanto.
Il caso di Mara è stato reso noto e divulgato da WEBTV.
Ma la Spondilodiscite che cos'è?
La spondilodiscite è l'infezione della colonna vertebrale interessante il disco e le vertebre adiacenti.
La spondilodiscite è un'infiammazione localizzata a livello delle vertebre (spondilite) e dei dischi interverte- brali (discite) che può essere provocata da malattie infiammatorie (artrite reumatoide, artrite psoriasi- ca, e artriti infiammatorie di altra natura) o infettive (tubercolosibrucellosi, salmonellosi, ecc). 
Attualmente le infezioni della colonna vertebrale pare siano relativamente rare (incidenza = 1 caso per 100,000-250,000 all'anno) e ammontano al 2-4% di tutti le osteomieliti (infezioni delle ossa).
 
Le spondiloidisciti si suddividono in specifiche aspecifiche: le spondilodisciti specifiche sono causate dai microrganismi della tubercolosi, mentre le forme di spondilodisciti aspecifiche sono causate da batteri comuni, da miceti o da parassiti.
Dalla metà degli anni '70, dato il calo della tubercolosi, nei paesi industrializzati le forme aspecifiche sono divenute le più frequenti. 
D'altra parte le forme tubercolari non sono scomparse a causa dell'aumento dei flussi migratori dai paesi ad alta endemia e dell'associazione con l'infezione da HIV. 
Attualmente, il microrganismo più frequentemente responsabile di spondilodiscite è lo Staphilococcus Aureus (incidenza che varia dal 40% al 90).
                 
                                                                                Fig.1. Esito di spondilodiscite (freccia)
 
                                                                                         Fig.2. RM di spondilodiscite aspecifica L3-L4 
 
Fig.3. Grave deformità vertebrale causata da spondilodiscite tubercolare.

  RM e TC preoperatorie, spondilodiscite tubercolare dorsale.            Rx postoperatorie, artrodesi e decompressione anteriore e posteriore. 
Si noti l’ascesso epidurale (freccia gialla) e l’entità                                               
 
della distruzione del corpo vertebrale (freccia rossa).

SPINE CARE GROUP S.A.S.

LA VERTEBROPLASTICA
Cos'è la vertebroplastica?
La vertebroplastica è un procedura non chirurgica in cui un ago sottile è utilizzato per iniettare una sostanza 

cementante all'interno di una vertebra fratturata. 
Attraverso questo metodo si possono stabilizzare vertebre con cedimenti o parzialmente distrutte. 

Immagine: la seconda e la terza vertebra di questa colonna sono parzialmente crollate
La prima vertebroplastica fu effettuata in Francia nel 1984 per il trattamento di un angioma aggressivo. 
Successivamente le indicazioni alla vertebropastica sono state allargate al trattamento delle fratture su 
base osteoporotica, delle metastasi ossee e delle localizzazioni di malattia linfoproliferativa.
Dal 1997 la vertebroplastica percutanea è diventata una procedura ampiamente utilizzata, la sua impor-

tanza è in constante aumento a causa del crescente interesse per la radiologia interventistica da parte sia dei 
medici che dei pazienti.
Quali condizioni mediche possono essere trattate con la vertebroplastica?
La vertebroplastica è una procedura di radiologia interventistica per il trattamento del dolore dovuto a ce-
dimenti vertebrali, refrattario alla terapia antalgica. 
Il cedimento del corpo vertebrale può essere causato da osteoporosi (primaria o secondaria) o da osteo-
lisi dovuta ad invasione della matrice ossea da parte di un tumore benigno o maligno. 
Più spesso il trattamento di un cedimento con vertebroplastica percutanea viene condotto in soggetti con 
osteoporosi
Le fratture vertebrali causate da osteoporosi colpiscono tipicamente le donne oltre 60 anni. 
Tuttavia anche gli uomini possono essere colpiti. 
Gli studiosi hanno stimato che almeno una donna su quattro e una più piccola percentuale di uomini, superata 
l'età di 50 anni, potranno presentare prima o poi una frattura vertebrale.
Anche le persone giovani possono essere colpite, soprattutto se le loro ossa sono indebolite dagli steroidi (co-

me cortisonici) o altri farmaci per il trattamento di condizioni come il lupus, l'asma o l'artrite reumatoide.
Per molte persone affette da osteoporosi una vertebra fratturata comporta una riduzione della motilità in mo-
do significativo, dolore cronico e una diminuzione dei rapporti sociali e della qualità di vita. 
La disabilità generata dall'osteoporosi costringe i pazienti a più giorni di immobilità rispetto all'ictus, all'infarto 
o al tumore della mammella con serie conseguenze anche sulla società a causa degli onerosi costi sanitari.
                               
Immagini: illustrazione schematica di una vertebroplastica e immagine radiografica 

Tabelle: indicazioni e controindicazioni alla vertebroplastica
Indicazioni
· frattura vertebrale dolorosa da osteoporosi refrattaria alla terapia medica
· frattura vertebrale dolorosa o osteolisi a rischio di frattura dovuta a tumori benigni o maligni (angioma, metastasi, mieloma, linfoma)
· frattura vertebrale dolorosa con osteonecrosi associata (Kummell's disease)
· pazienti con cedimenti multipli per i quali ulteriori cedimenti rappresenterebbero una compromissione respiratoria
· frattura traumatica (tipo A1 secondo Magerl) in osso sano con mancato consolidamento dei frammenti o degenerazione cistica

Controindicazioni
Assolute
· fratture stabili asintomatiche
· terapia medica efficace
· osteomielite nella vertebra interessata da frattura
· coagulopatia non correggibile
· allergia ai componenti utilizzati
· infezioni sistemiche o locali (spondilodiscite)
Relative
· dolore radicolare o radiculopatia causata da sindrome compressiva non correlata alla frattura vertebrale
· fratture con dislocazione del muro posteriore della vertebra con impegno > 20% del canale vertebrale
· tumore esteso all'interno dello spazio epidurale
· frattura traumatica acuta di vertebra non osteoporotica
· compressione severa del corpo vertebrale (vertebra plana)
· frattura stabilizzata senza dolore
Quali metodi ci sono per il trattamento del dolore causato dalle fratture vertebrali?
Il trattamento delle fratture vertebrali è più difficile rispetto a quello di altre tipi di fratture, come ad esem-pio le fratture dell'anca o del polso che possono essere trattate chirurgicamente. 
Poiché estremamente difficili e rischiosi, gli interventi chirurgici sulla colonna vertebrale vengono effettuati solo se non esiste altro modo di trattare una frattura vertebrale causata da osteoporosi.
Il trattamento convenzionale consiste nella terapia con analgesici-narcotici e FANS, nel riposo a letto e, in al- cuni casi, nell'utilizzo di busti ortopedici.
Sino a poco tempo fa i farmaci per il trattamento del dolore e le procedure chirurgiche (spesso senza suc- cesso) erano praticamente gli unici metodi disponibili nella lotta contro gli effetti delle fratture vertebrali
Oggi i pazienti affetti possono essere trattati con la vertebroplastica, una procedura radiologica sicura, mini mamente invasiva che si è dimostrata altamente efficace nell'eliminare il dolore associato alle fratture verte-brali.
Quali sono gli esami diagnostici per valutare l'indicazione?
Prima di effettuare la vertebroplastica bisogna accertarsi che la frattura sia effettivamente la reale causa del dolore lamentato dal paziente. 
Le cause di dolore alla colonna sono infatti molteplici e spesso sostenute da processi degenerativi artrosici.
Oltre alla radiografia in due proiezioni, un fondamentale strumento per valutare natura ed epoca della frattura è costituito dalla risonanza magnetica con sequenze T1, T2 e STIR che permettono di valutare l'edema e differenziare pertanto le fratture vertebrali recenti dagli esiti remoti.
Come si esegue una vertebroplastica?
La tecnica consiste nell'iniezione di uno speciale "cemento" biocompatibile (polimetilmetacrilato PMMA), usato spesso anche negli interventi ortopedici, all'interno delle vertebre fratturate. 
L'iniezione viene effettuata attraverso degli speciali aghi metallici inseriti nel dorso del paziente e quindi nel corpo vertebrale. 
La procedura viene condotta nella maggior parte dei casi mediante guida fluoroscopica.
Immagini: illustrazione schematica di una vertebroplastica e immagine radiografica che mostra l'ago inserito nella vertebra durante l'iniezione del cemento osseo 
La posizione prona (paziente disteso sul ventre) è utilizzata per trattare le vertebre toraciche e lombari.
Dopo aver disinfettato la schiena del paziente ed aver eseguito un'anestesia locale, sotto guida fluoroscopica si posiziona, con accesso monolaterale destro, un ago nella vertebra interessata.
Il cemento osseo solidifica in pochi minuti, conferendo alla vertebra nuova stabilità. 
L'intera procedura dura circa 1 ora. 
Se vi sono più vertebre collassate, possono anche essere trattate in un'unica seduta che, in tal caso, durerà di più.
Immagini
A. Aspetto TC di un emangioma (tumore benigno dei vasi sanguigni) di una vertebra lombare; la sostanza ossea e ridotta 
     e la vertebra può collassare
B. Durante la vertebroplastica si introduce un ago nella vertebra sotto guida TC
C. La vertebra dopo che è stato iniettato il cemento osseo
Cosa sente il paziente durante la procedura?
Prima della procedura al paziente vengono somministrati un blando sedativo e un analgesico. 
Poi si effettua un'anestesia locale sul dorso, dove verranno inseriti gli strumenti per la vertebroplastica
Il paziente può accusare un lieve fastidio, che sparisce dopo pochi minuti, quando l'anestetico comincia a fare effetto. 
Durante la procedura il paziente può avvertire la presenza degli strumenti, ma non sente alcun dolore.
La funzione circolatoria è costantemente monitorata durante lo svolgimento della procedura. 
Al termine del trattamento il paziente deve rimanere a letto alcune ore. 
In genere è consigliabile una breve permanenza in ospedale per monitorare il livello di dolore del paziente una volta che svanisce l'effetto dell'anestesia e per aiutare il paziente nella mobilizzazione.
Gran parte dei pazienti riferisce immediato sollievo dal dolore dopo la procedura. 
Quali sono gli effetti della vertebroplastica?
La vertebroplastica stabilizza vertebre collassate o fratturate, riducendo o eliminando il dolore causato dal- lo sfregamento dell'osso contro il periostio (il sottile strato di tessuto connettivo che ricopre la superficie esterna dell'osso). 
Anche la dolorosa pressione sulle articolazioni vertebrali, causata da una vertebra collassata, appare signifi-cativamente ridotta. 
La maggior parte dei pazienti prova un immediato e duraturo sollievo dopo la procedura: in particolare la ver tebroplastica determina la scomparsa del dolore o una significativa riduzione dello stesso in una percentuale variabile dall'85% al 95% dei pazienti trattati per osteoporosi e dal 70% al 90% dei pazienti con metastasi.
Per molti pazienti la vertebroplastica rappresenta l'unico trattamento che permette loro di lasciare il letto e partecipare alla fisioterapia, con riduzione del tempo di permanenza in ospedale. 
La vertebroplastica non solo reca sollievo ai pazienti dal dolore, ma previene anche un ulteriore collasso delle vertebre trattate, evitando la riduzione di altezza dei somi e la deformità cifotica del rachide (gobba). 
Quali sono i rischi connessi alla vertebroplastica?
Numerosi studi hanno mostrato che la vertebroplastica ha un basso tasso di complicanze che, nella mag-gior parte dei casi descritti, sono legate all'impiego di apparecchiature radiologiche di bassa qualità ed alla scarsa esperienza dell'operatore.
Le complicanze maggiori comprendono la lesione diretta del midollo spinale o la sua compressione per ema-toma/stravaso di cemento nel canale vertebrale da trattare con decompressione chirurgica, l'embolia polmo-nare sintomatica quando si verifica stravaso di cemento nelle vene che drenano il sangue della vertebra e il cemento embolizzato arriva nelle arterie polmonari, l'anafilassi per allergia ai componenti del cemento. 
Tali evenienze sono tuttavia molto rare, dell'ordine di circa 1-2 casi su 175.000.
Tra le complicanze minori sono incluse l'irritazione di una radice nervosa, un'infezione o un ematoma nella sede di introduzione dell'ago.
dott. Gian Paolo Cornalba Si ringrazia il Prof. Gian Paolo Cornalba

Appunti del Dott. Pasquale Longobardi sul Convegno di Grosseto
"Medicina Subacquea: work in progress" 
26 settembre 2011 - Scritto da Redazione - Nessun commento in risposta a questo articolo.
Il 21 settembre scorso si è tenuto a Grosseto il convegno dal titolo “Medicina subacquea: work in progress” moderato dal prof Antonio L’Abbate e dal dr. Marco Brauzzi. al convegno sono intervenuti:
- Prof. Stephen Thom (University of Pennsylvania – Philadelphia), con un intervento dal titolo “Microparticles and Decompression Illness : updating the lane of research (Aggiornamenti sul percorso di ricerca)
- C.V. (MD) Dr. F abio Faralli (Comsubin – La Spezia) con un intervento dal titolo L’immersione tecnica ed il rischio decompressivo
Il Dr. longobardi ha seguito l’iniziativa in videoconferenza interagendo con i moderatori e i relatori online. Per i medici e i subacquei interessati il Dr. Longobardi mette e a disposizione i suoi appunti arricchiti con le immagini tratte dalle presentazioni originali dei due relatori.
Puoi scaricare gli appunti del Dr. Longobardi e vedere alcune immagini tratte dalla presentazione del Prof Stephen Thom del prof Stephen Thom e dalla presentazione del Dr. Faralli (le slide sono rielaborate dal Dr. longobardi e non sono le presentazioni originali dei relatori) 
                                                         
Il prof. Stephen Thom ha evidenziato che le immersioni con stress decompressivo (ripetitive, multiday) aumentano la quantità di microparticelle nel sangue (“polvere cellulare”). Le particelle più grandi di un micron (un millesimo di millimetro) possono attivare i globuli bianchi e scatenare l’infiammazione (rossore, calore, gonfiore, dolore, alterata funzionalità). Le particelle contengono gas e quindi le loro dimensioni si riducono se il subacqueo incidentato è ricompresso in camera iperbarica. L’immersione tecnica (autorespiratore a riciclo con pressione parziale di ossigeno nella miscela respirata sul fondo di 1,2 atmosfere) pare ridurre le dimensioni delle microparticelle rispetto alla immersione con respirazione in aria (quindi l’immersione tecnica, correttamente eseguita, pare ridurre la probabilità dell’incidente da decompressione rispetto all’immersione avanzata con aria. L’Autore ha precisato che è necessaria prudenza nel trasferire i dati della ricerca alla pratica dell’immersione.
                                                       
Il C.V. dr. Fabio Faralli (Marina Militare Italiana) ha presentato la differenza tra i diversi modelli di decompressione, compartimentali e a controllo delle bolle. Ritiene che le bolle non siano il fattore principale che causa l’incidente da decompressione e fa riferimento alla presentazione del prof. Stephen Thom. La ricerca ha evidenziato che le soste profonde vadano introdotte solo per immersioni a profondità massima di 25-27 metri per tempi di permanenza sul fondo prolungati (sessanta minuti o di più). L’utilizzo di soste profonde per immersioni a maggiore profondità e per breve tempo di permanenza sul fondo pare che siano correlate con un aumento della probabilità di incidente da decompressione.

Appunti e relazioni del Dr. Longobardi: convegni sulla subacquea di Ravenna e Ischia

4 gennaio 2012 - Scritto da Redazione.
Da settembre a dicembre sono tanti gli incontri e i convegni ai quali ha partecipato il Dr. Pasquale Longobardi. Tutte le presentazioni in power point sono come al solito disponibili nel profilo su slideshare ma intanto qui vi segnaliamo gli ultimi aggiornamenti dei convegni sulla subacquea
Del convegno avevamo già parlato qua, ora mettiamo a vostra disposizione anche le slide dell’intervento del Dr. Longobardi su “immersione profonda in sicurezza”.  Oltre alle slide visionabili di seguito potete scaricare anche gli appunti del Dr. Longobardi sugli interventi degli altri relatori al convegno.
IV Raduno OTOSUB del 28-30 ottobre 2011 (vedi programma)
Due gli interventi del Dr. Longobardi al IV Raduno OTOSUB svolto a Forio di ISchia: la prima relazione è su “incidente da decompressione oto-vestibolare” la seconda riguarda invece il trattamento delle ulcere nel palato con terapia iperbarica.  Interessante il caso illustrato di ulcera causata da consumo di cocaina. E’ infatti dimostrato che nelle ulcere 
downloadman


Pubblicato su Blogger oggi 09 Agosto 2012 alle ore 18,00 da: Giuseppe Pinna de Marrubiu

Nessun commento:

Posta un commento