mercoledì 19 dicembre 2012

(Scheda 230) Le lesioni dei tessuti molli nei traumi degli arti.

Cosa sono le lesioni dei tessuti molli
nei traumi degli arti
Le lesioni delle parti molli oggi vengono trattate immediatamente in urgenza cercando di limitare al massimo l'uso succes- sivo di lembi liberi microvascolari. 
La VAC ha assunto un ruolo di primo piano nel migliorare la prognosi.
                                       
Articolo informativo di Giuseppe Pinna de Marrubiu per S. O. S. - “Osteomielitici d’Italia” - Onlus «Centro Servizi Informativi On-line per Pazienti Osteomielitici».
Introduzione
Le lesioni delle parti molli nei traumi rappresentano un problema di grande importanza sia per il coinvolgimento degli aspetti funzionali e quindi della possibilità dell’arto colpito a ritornare abile per la vita quotidiana e per il lavoro, sia per quanto attiene il loro peso nel influire sulle condizioni generali del paziente traumatizzato.
Se nel 1980 moriva il 7,3 % di traumatizzati per infezioni, ancora oggi nel 5,2 % dei casi la morte av-viene per complicanze settiche, in gran parte insorte proprio su lesioni dei tessuti molli
Per queste ragioni, da sempre, le Società mediche specialistiche che si interessano del Trauma rivol- gono una grande attenzione a questo settore particolare.
In questi ultimi anni nuove tecniche e nuove metodologie hanno consentito di migliorare la gestione di queste lesioni sia per quanto riguarda il salvataggio vero e proprio degli arti colpiti, sia per quanto ri-guarda le modalità e i tempi di guarigione.
In questo proseguo della tematica presenteremo gli aspetti principali e quelli più innovativi che caratte rizzano il moderno trattamento delle lesioni delle parti molli nei traumi degli arti.
1) Inquadramento del traumatizzato e identificazione del rischio di complicanze
In primo luogo, già sulla scena dove è avvenuto il trauma, si deve cercare di ottenere il maggior numero possibile di informazioni dal traumatizzato, se cosciente, oppure, successivamente, da parenti e conoscenti in grado di fornire informazioni utili ai medici curanti.
L’anamnesi è fondamentale per inquadrare le patologie pregresse o in atto, le possibili allergie, l’uso di farmaci, le abitudini e gli stili di vita. 
Tutte informazioni fondamentali per inquadrare correttamente il rischio all’interno del quale collocare il traumatizzato.
Valutazione del Rischio di complicanze
A) Esistono condizioni di rischio precedenti al trauma legate alle condizioni generali e locali del paziente che possono facilitare l’insorgenza di complicanze vascolari, neurologiche, settiche dei tessuti molli e, infine, necessariamente anche di consolidazione delle fratture.
Condizioni generali
  • Diabete
  • Obesita’
  • Vasculopatie centrali e/o periferiche
  • Farmaci (cortisone, antiblastici ecc.)
  • Immunodepressione per malattie come epatiti, BPCO, AIDS
  • Droghe
  • Fumo
  • Alcool
  • Infezioni dentarie (granulomi occulti)
  • Eta’ sopra i 65 anni
Condizioni locali
  • Arteriopatie/Flebopatie/TVP
  • Pregresse fratture
  • Presenza di protesi/osteosintesi
  • Presenza di infezioni
B) Sono da valutare, inoltre, le condizioni di rischio intrinseche al trauma:
  • Contatto con acque putride
  • Contatto con terra, fango
  • Ustioni associate
  • Lesioni da arma da fuoco
  • Contatto con sostanze chimiche
  • Trauma da schiacciamento (timing)
  • Sguantamento della cute dall’arto (degloving)
  • Tempo di ischemia
  • Tempo di trasporto
  • Stress termico
  • Shock emorragico/ Arresto cardiaco
2) Fattori responsabili delle lesioni
L’estensione e la gravità dei danni dei tessuti sono variabili in relazione a fattori meccanici e a fattori biologici, i quali, diversamente combinati a seconda dei casi, possono determinare la vita o la morte non solo dell’arto colpito, ma dello stesso paziente.
  • Fattori meccanici:
- Direzione della forza (pependicolare, assiale, rotazionale)
- Intensita’ della forza applicata (alta/bassa energia)
- Tipo di noxa (contusiva, penetrante)
- Estensione della superficie di contatto
  • Fattori biologici:
- Regione o segmento interessato
- Grado di contaminazione della ferita
- Durata e natura dell’ischemia
- Ischemia periferica (danno locale: lesione arteriosa, lesione da schiacciamento)
- Ischemia centrale (shock ipovolemico)
- Condizioni generali e comorbidità. 
3) Prevenzione delle complicanze e riduzione del danno (damage control)
Fino dal primo soccorso sul luogo dell’incidente è importante una corretta immobilizzazione degli arti che viene eseguita dagli operatori del 118 con splint/stecche e tutori pneumatici dedicati. 
E’ fondamentale garantire l’allineamento di massima dello scheletro, in tal modo si ottiene il contestuale riallineamento dei fasci neuro-vascolari (n-v).
Con l’immobilizzazione in stecca si consegue l’eliminazione/riduzione di ulteriori traumi sul fascio n-v consentendo il ripristino del normale circolo, almeno nei vasi intatti. 
Si somministra precocemente la terapia antibiotica prevista dal protocollo per le lesioni esposte degli arti.
All’arrivo in Pronto Soccorso, nel contesto delle procedure del protocollo ATLS (Advanced Trauma Life Support), si esegue una rapida valutazione delle condizioni dell’arto procedendo ad un primo lavaggio e disinfezione delle ferite (fig.1).
                               Frattura esposta GA IIIB
Fig.1. Paziente all’arrivo al DEA – Sala Rossa / Frattura esposta di gamba (Classificazione GA IIIB)

Si noti la lacerazione di cute, sottocute, fascia e muscolo con esposizione della regione mediale del terzo inferiore della tibia (in bianco)

Si esegue medicazione provvisoria e si rinnova l’immobilizzazione per il trasferimento in Sala Operatoria.
In sala operatoria si procede al trattamento delle lesioni dell’arto traumatizzato. 
In alcuni casi si potrà eseguire un’osteosintesi definitiva con chiodi endomidollari, placche o viti percutanee (se il paziente è emodinamicamente stabile, in caso di lesio- ni ossee semplici con possibilità di copertura immediata delle perdite di sostanza, in as-senza di altre lesioni nei distretti cranio-torace-addome da trattare chirurgicamente in urgenza).
In altri casi, dove altre procedure rianimatorie e/o chirurgiche si impongono per salva re la vita del traumatizzato, si procederà di certo ad una osteosintesi provvisoria me- diante stabilizzazione con Fissatore Esterno (FE), rinviando pertanto l’osteosintesi de finitiva a quando le condizioni generali e/o locali del paziente lo consentiranno.
In entrambe le evenienze verrà eseguita comunque e sempre come primo atto chirurgi co una procedura di accuratissima pulizia e allontanamento dei detriti e di qualsiasi corpo estraneo visibile nelle ferite debridement (fig 2).
                                              Lavaggio e pulizia con spugna e schiuma
Fig.2. Sala Operatoria – Urgenza / Lavaggio mediante irrigazione ripetuta con soluzione fisiologica 
(12 litri) e detersione con spugna imbibita di soluzione antisettica saponosa (debridement).  

Durante la pulizia l’arto viene mantenuto costantemente in trazione manuale per evitare un ulteriore stress 

sulle parti molli e  il sanguinamento.
4) Trattamento: debridement
Il debridement consiste in un lavaggio accurato e ripetuto dei tessuti lesi con abbon-danti quantità di liquido (soluzione fisiologica sterile) accompagnato da una spazzolatura gentile con soluzioni saponose. 
Il meccanismo di pulizia prevede l’irrigazione con almeno 9-12 litri di soluzione per ogni ferita maggiore: lo scorrimento dell’acqua allontana la maggior parte della terra, asfalto, legno, metalli, vetro, sostanze tossiche che negli incidenti di strada, agricoli o di fabbri-ca possono contaminare le ferite.
La schiuma delle miscele saponose neutre utilizzate ha il ruolo invece di portare in su-perficie gli inquinanti e ridurre l’adesività delle sostanze estranee che contaminano la fe- rita e, dunque, renderle disponibili al successivo allontanamento prodotto dall’irrigazio-ne ripetuta.
Grazie a questa tecnica di lavaggio accurato è possibile ottenere ferite praticamente sterili, almeno per i tempi immediatamente successivi al lavaggio. 
E’ possibile, infatti, che, con il passare delle ore, nonostante l’esecuzione di un perfetto debridement, possano comparire focolai settici che in genere si manifestano su tessuti fortemente contusi/stirati e quindi in preda a crisi ischemiche con evoluzione in necrosi, terreno ideale per la crescita dei germi perché si tratta di ambienti poveri di ossigeno.
4.1) Trattamento: classificazione delle lesioni
Una volta pulita la ferita, in primo luogo va fatta la classificazione delle lesioni
Per molti anni per capire l’inquadramento delle fratture esposte e delle lesioni delle parti molli associate si è utilizzata la classificazione di Gustilo-Anderson (GA) che sud divideva le fratture esposte in tre gruppi maggiori, in associazione a tre sottogruppi mi nori per il tipo C (Tab.1).
                                                                                               Tab. 1: Classificazione di Gustilo- Anderson
                 
In tempi recenti si è visto che la classificazione di GA, messa a punto nel lontano 1984, essendo indirizzata soprattutto all’inquadramento prognostico della frattura, non con-sentiva, in realtà una valutazione soddisfacente di queste lesioni complesse degli arti do ve lo scheletro è solo una delle componenti coinvolti nel trauma.
Le lesioni di nervi, vasi, muscoli e soprattutto cute nel destino finale dell’arto hanno di- mostrato in questi anni di avere un ruolo talmente importante che le Società Europea Ortopedica e Traumatologica (Orthopaedic Trauma Association) ha recentemente pro posto una nuova classificazione dove tutti questi tessuti sono presi in considerazione se paratamente ed ognuno valutato su tre gradi (a,b,c) di entità della lesione assumendo a) come assenza di lesioni e c) il massimo della lesione per ogni tessuto o apparato (Tab.2).
                                                                                Tab 2: Classificazione della Orthopaedic Trauma Association
    
Come si vede in questa classificazione dell’Orthopaedic Trauma Association il criterio di valutazione è addirittura capovolto rispetto alla classificazione di G. A.: prima si deve dare un punteggio alle lesioni delle parti molli e poi, solo alla fine, allo scheletro. 
In base alla classificazione si procederà quindi al trattamento che, come abbiamo visto, è già iniziato con il debridementil primo tempo chirurgico grazie al quale, per l’accu- rata pulizia, è possibile evidenziare tutte le strutture lese e la loro gravità.
4.2) Stabilizzazione delle fratture
  • Fissazione esterna (F.E.)
In condizioni di urgenza con il paziente in condizioni critiche si esegue il montaggio di un Fissatore Esterno, tecnica di rapida esecuzione e di basso impatto chirurgico. 
                                  
Vengono inserite per via percutanea nell’osso delle grosse viti (fiches) in acciaio prossi malmente e distalmente rispetto alla frattura/lussazione.
Le fiches poi sono unite, tramite morsetti e snodi, da barre in alluminio o assi in carbonio registrabili con viti.

In base al tipo di frattura e di lesioni associate sono possibili eseguire montaggi diversi essendo il F.E.  un sistema geometrico molto versatile (figg. 3 e 4).
 Frattura stabilizzata con fissatore esterno
Fig. 3 – Sala Operatoria – Urgenza /Damage control / Fissatore Esterno montato con 3 fiches prossimali e 3 fiches distali alla frattura. 
La ferita lacera obliqua è stata trasformata in una T rovesciata grazie alla fasciotomia mediale
Notare come il focolaio di frattura della tibia sia stato coperto mediante ricostruzione del piano muscolare fasciale (porzione verticale della T rovesciata) mentre il piano cutaneo, solo accostato, non è stato suturato per lasciare de- tesi i margini. 
La fasciotomia longitudinale è stata eseguita per eliminare rischi di sindromi compartimentali: vengono lasciati aperti fascia, sottocute e cute. 
Nel tempo chirurgico successivo si monterà il sistema di sutura elastico (fettuccia gialla) che si vede nella parte pos- tero inferiore della ferita.
Ferita pulita,asciutta in via di guarigione
Fig. 4 – Sala Operatoria – Debridement in 5^ giornatal/ La ferita pretibiale trasversale, solo accostata in urgenza nei piani muscolari e fasciali, è pulita, pronta per la sutura della cute. 
La fettuccia elastica gialla è stata applicata sulla fasciotmia per mantenere in leggera tensione i margini al fine di favorirne l’accostamento progressivo durante la riduzione della tumefazione nei giorni successivi. 
Il sistema elastico si comporta come la "guepiere”, il busto delle dame nel ‘700. 
Questa sutura dinamica, allo stesso modo, segue la riduzione della tumefazione dell’arto accompagnando il processo di granulazione delle fasciotomie avvicinandone i margini. 
Per l’accostamento elastico, i lembi della ferita guariscono per prima intenzione e non necessitano, pertanto, di innesti. 
La sutura finale della fasciotomia è rinviata a quando sarà scomparsa la tensione sui margini (sutura differita).
  • Fissazione interna
Quando possibile (paziente emodinamicamente stabile, assenza di necessità di altri ges- ti chirurgici salvavita su cranio/torace/addome, condizioni locali favorevoli) si esegue fis sazione della frattura mediante osteosintesi interna
Di solito si preferisce utilizzare l’osteosintesi endomidollare con chiodi inseriti dentro il canale osseo senza alesaggio. 
In alcuni casi è possibile utilizzare anche placche o viti cannulate inserite per via per- cutanea.
Raggi X che mostrano la porzione prossimale di un fratturata tibia con un chiodo endomidollare 

Viste interne ed esterne di un braccio con ferita lacero contusa e con una frattura scomposta, 
sia prima che dopo l'intervento chirurgico.
File: Broken arm.jpg fisso
4.3) Copertura dello scheletro
Una volta ottenuta la stabilizzazione delle fratture si provvede alla copertura delle parti di osso rimaste esposte. 
In questi ultimi anni questo tempo chirurgico ha subito una vera e propria rivoluzione. 
Una volta si lasciava a lungo scoperto lo scheletro e con medicazioni ripetute si attendeva la pulizia definitiva del focolaio fino alla comparsa del tessuto di riparazione. 
I tempi erano lunghissimi: settimane o mesi. 
Oggi si cerca di coprire immediatamente l’osso esposto con tutto quello che si ha a disposi-zione: parti di muscolo, fascia fino alla cute, purché continui e ben vascolarizzati e non in- fetti
Le tecniche sono tra le più svariate sia in urgenza come in differita
In urgenza si ricorre a qualsiasi tecnica utile a coprire lo scheletro utilizzando i tessuti conti-gui. 
In differita, nei giorni successivi al ricovero, si utilizzano varie tecniche di approssimazione per avvicinare i lembi delle ferite (figg.5 e 6).
Ferite suturate, pulite, asciutte
Fig. 5 – 12^ giornata: sutura differita delle ferite in via di guarigione: residua modesto edema delle parti molli e arrossamento dei margini della ferita pre-tibiale. 
Ferita asciutta, non secernente.
Rimozione del Fissatore Esterno per la conversione in Osteosintesi Interna
Fig. 6 – 15^ giornata: rimozione del F.E. e conversione con osteosintesi mediante chiodo endomidollare. 
I tramiti delle fiches del F.E .sono puliti e le ferite presentano margini puliti e senza arrossamento: guarigione per prima.
4.4) La VAC (Vacuum Assisted Closure - Therapy)
Da pochi anni sia in urgenza che in differita è stato introdotto un rivoluzionario sistema di drenaggio che, tramite una pompa in grado di creare una depressione accentuata, aspira tutte le secrezioni del- la ferita e facilita la rivascolarizzazione e riossigenazione delle aree traumatizzate. 
In tal modo viene agevolata la crescita rapidissima di un tessuto di granulazione ipervascolarizzato grazie al quale è possibile ridurre ulteriormente l’area di esposizione, a volte annullandola, in virtù del- la crescita spontanea della cute contigua all'area granuleggiante.
Grazie alla VAC, infatti, oggi si assiste alla guarigione, una volta impossibile, di ampie perdite di tessuti molli o alla rapida crescita di un letto di tessuto sano e ben vascolarizzato dove adagiare gli innesti o i lembi indispensabili per una copertura cutanea definitiva
Ma è fondamentale ricordare che la VAC non sostituisce il debridement e, se necessario, la rese- zione dei tessuti necrotici che hanno sempre la precedenza.
La potenza della VAC nel favorire la formazione del tessuto di granulazione è tale che, in alcuni casi, dove il debridement non è stato adeguato e/o completo, è possibile assistere addirittura alla cre-scita di tessuto di granulazione su tessuti in necrosi o pesantemente coinvolti da fenomeni settici (figg. 7, 8 , 9 ,10).  
Il rischio è quello di avere tessuti granuleggianti nella sede della lesione in apparente guarigione, sen- za un miglioramento reale dello stato settico complessivo del paziente e neppure della lesione locale. Dunque: primum mundare, deinde aedificare!
Sinfisite pubica con tessuto di granulazione da VAC
Fig. 7 – Deiscenza di ferita sovrapubca: esiti ascesso pelvico fistolizzato per complicanza settica da barto-linite in paziente diabetica scompensata. L’incisione sovra pubica per drenare l’ascesso non guarisce e la VAC non riesce a eliminare la secrezione nonostante la crescita di tessuto di granulazione (rosa)La presenza di una sinfisite settica pubica con necrosi ossea marginale del pube (in bianco screziato di giallo) al di sotto del tessuto di granulazione impedisce infatti la guarigione.
             Resezione con sega dei margini ossei della sinfisi
Fig. 8 – Debridement esteso della sinfisi: resezione con sega oscillante dei margini sclerotici e infetti della sinfisi 
pubica dopo aver asportato la fibrocartilagine  infetta. 
E’ stato eseguito un curettage (pulizia con cucchiaio) su tutta la superficie della sinfisi pubica e il colore rosso 
vivo testimonia che il debridement ha eliminato i tessuti necrotici ed ha raggiunto gli strati di tessuto sottostan
ti, ora puliti e ben vascolarizzati.
              VAC in aspirazione dalla sinfisi e dalle fistole della coscia
Fig. 9 - Tubi di aspirazione della VAC in sede: il primo, al centro, dall’incisione sovra pubica, mentre il secondo dalla doppia fistola delle coscia dx.                                 
Tessuto di granulazione dopo trattamento con VAC
Fig. 10 – Ferita sovrapubica - Medicazione in SO a 7 giorni dal debridement e dalla nuova applicazione della VAC su tessuto pu-lito: scomparsa di ogni segno di secrezione e crescita uniforme del tessuto di granulazione sia sul fondo della pelvi, sia sui margini della sinfisi pubica.
                            5) Interazioni tra fisiopatologia del trauma e trattamento
L’insieme delle procedure descritte come trattamento antibiotico precoce, debridement ac-curatocopertura precoce delle aree esposte, stabilizzazione delle lesioni scheletriche, insieme alla applicazione della Pressione Negativa ai Tessuti (Tissue Negative Pression = TNP = VAC), contribuiscono nel rimuovere tutti quei fattori dell’infiammazione, radicali liberi e sostanze vasoattive che facilitano il danno cellulare locale e la morte dei tessuti (tab.3).
                               Tabella 3: interazioni tra eventi fisiopatologici e trattamento (da Webb L.X.: ICL 344, AOSS - San Diego 2011)

                      
6) L’Ortoplastico e la scala delle procedure plastiche
Se il metodo prevede la massima riduzione dell’infiammazione locale dei tessuti traumatiz- zati, l’obbiettivo finale che ci si propone è quello di coprire l’osso e ridurre il più possibile l’es- tensione dell’esposizione ossea e la perdita di sostanza dei tessuti molli cercando di evita- re o ridurre al minimo il ricorso ad interventi di chirurgia plastica complessi  basati su lembi liberi micro vascolari che richiedono tecniche sofisticate, non scevre di complicanze, e con tem pi chirurgici lunga durata e con conseguente notevole impegno di risorse in sala operatoria.
Recentemente una sorta di “rivoluzione” della gestione delle fratture esposte e delle lesioni dei tessuti molli, grazie alla fortissima spinta alla copertura immediata delle lesioni schele- triche da parte dei Trauma Center, ha portato ad una sorta di mutazione della classica figu- ra del chirurgo ortopedico che, da operatore esclusivo dei tessuti duri, è diventato, per ne- cessità, anche chirurgo plastico dei tessuti molli traumatizzati. 
Mutazione tanto evidente da vedere la nascita, in ambiente anglosassone, di un nuovo termi ne per descrivere questo nuovo professionista del Trauma: l'“ortoplastico”.
In questa innovativa visione di nuove procedure, tecniche e figure professionali è stata mes- sa a punto anche una sorta di “’scala” delle opzioni plastiche da utilizzare come armamen- tario disponibile per l'”ortoplastico” (tab.4).
                                                              Tabella 4: la scala dell’ "Ortoplastico" (da Hervey E.J, ICL 344, AAOS - San Diego 2011)
Alla base della scala si trovano le tecniche più semplici come le suture dirette delle lesioni con guarigione per prima intenzione, per passare poi in progressione alle chiusure differite, alla VAC, agli innesti semplici di cute, ai lembi locali, quelli regionali. 
Alla sommità troveremo le tecniche più complesse come i lembi distanti dalla lesione e quelli liberi (che richiedono una sutura microvascolare), procedure che in urgenza, per complessità e durata, non è possibile eseguire e che verranno pertanto affidati al chirurgo plastico in tempi successivi a malato stabilizzato e condizioni locali favorevoli per l’attecchimento degli innesti.
                     
                                                              7) Conclusioni
Il trattamento delle lesioni da trauma delle parti molli è oggi molto sofisticato grazie ad una grande esperienza maturata sui campi di battaglia nelle due guerre mondiali, passando per la guerra in Corea e in particolare in seguito a quella del Vietnam che ha visto la nascita del Register of Trauma e  il sorgere degli Ospedali avanzati posizionati subito dietro le linee (M.A.S.H.)
Questa esperienza è stata successivamente affinata nei Trauma Center di tutto il mondo per la grande guerra che, in tutti i Paesi “civili”, si combatte ogni anno a causa degli inci-denti stradali, fortuiti accidentali e degli incidenti negli ambienti di lavoro
In Italia queste esperienze sono presenti, ma non sono ancora diffuse come sarebbe ne-cessario.
Occorre una cultura del Trauma che preveda la formazione di Operatori con elevati livelli standardizzati di competenze e una Rete di Ospedali fondata su Centri HUB (Trauma Cen- ter/ Spine Unit in grado di garantire il trattamento completo di tutte le lesioni maggiori e delle loro complicanze) insieme a Centri in periferia SPOKE (in grado di eseguire il Trauma Damage control delle lesioni maggiori prima di inviarle all’Ospedale HUB) armoniosamente col legati da un servizio 118 efficiente. 
In questa Rete, le moderne procedure d’inquadramento e riduzione del rischio, la classifica-zione completa delle lesioni, il trattamento precoce con antibiotici, il debridement accurato, l’osteosintesi scheletrica “stabile” e la copertura immediata delle esposizioni, nonchè la ridu- zione delle perdite di sostanza sulla base di una scala di procedure razionali affidate allo “ortoplastico” e al chirurgo plastico, oggi si impongono anche in Italia come il “golden stan-dard”.
Le prospettive future prevedono ulteriori miglioramenti tra cui la “cute artificiale” nuovo pro dotto rivoluzionario con cui si possono coprire in via provvisoria da subito anche estese per-dite di sostanza, in attesa della stabilizzazione delle condizioni generali e di quelle locali del traumatizzato. 
Soprattutto, servono, però, Team dedicati al Trauma
Si tratta di Sistemi Organizzativi complessi dotati di materiali e mezzi dal costo elevato, del resto già in uso da tempo in altri Paesi occidentali.
Per ottenere questi “standard” servono, dunque, risorse ed investimenti che attualmente ci vengono negati. 
Il SSN è una risorsa di tutto il Paese, aiutateci a difenderlo. 
Domani, nella vostra Regione, potreste avere necessità di ricorrere ad un Trauma Center ed ad un Trauma Team competente ed efficiente. 
Non dimenticatelo.
Aiutateci ad aiutarvi: le vostre ferite guariranno meglio e più rapidamente. 
Il nostro lavoro, mortificato dai tagli assurdi alla Salute pubblica, pure.
8) Suggerimenti pratici
Se dovesse capitare malauguratamente di essere portati in Pronto Soccorso privi di cono-scenza e nell’impossibilità di comunicare con i medici che vi assistono…
1) Portate sempre con voi nel portafoglio o in borsa il riassunto della vostra storia clinica     (anamnesi): malattie pregresse, interventi eseguiti, farmaci assunti in passato o in corso di terapia, problemi ematologici, problemi infettivi. 
Per i più tecnologici va bene un pen-drive, ma controllate che il passaggio ai ceck point/metal detector degli aeroporti non lo smagnetizzino. 
Pertanto salvate una copia dei dati sulla vostra casella email, in caso di smarrimento o can-cellazione della memoria potrete sempre recuperarli in giro per il mondo da qualsiasi Internet Center.
2) Scrivete sempre alla fine del report la data dell’ultimo aggiornamento dell’anamnesi
     Memento: aggiornatelo ogni anno.
3) Se siete allergici a sostanze o soprattutto a farmaci portate una medaglietta al collo con indicato il vostro problema di allergia. 
Ricordatevi di segnalare se siete allergici ai metalli e/o alla gomma.
4) Se andate per turismo o lavoro all’estero fate una traduzione in inglese di queste vostre informazioni. 
                            Fine
Pubblicato su Blogger oggi 19 dicembre 2012 alle ore 22,54 da: Giuseppe Pinna de Marrubiu

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