lunedì 14 maggio 2012

(Scheda 44) Piede Diabetico - (1^ Parte) - Si parla di piede diabetico quando la neuropatia diabetica o l’arteriopatia degli arti inferiori compromettono la funzione o la struttura del piede.

PARLIAMO DEL ...PIEDE DIABETICO
Definito anche come Piede neuropatico o Piede ischemico
e dell'Osteoartropatia di Charcot
Articoli di ricerca curati da: Giuseppe Pinna per la S. O. S. - “Osteomielitici d’Italia” - Onlus «Centro Servizi Informativi On-line per Osteomielitici e Pazienti dell’Ospedale CODIVILLA-PUTTI di Cortina d’Ampezzo».
1ª Parte
Benvenuti

Questo POST INFORMATIVO è rivolto a tutti coloro che sono interessati al Piede Diabetico, pazienti ed operatori sanitari.
Quanto riportato è frutto sia dell’esperienza diretta dei redattori che dell’analisi della letteratura internazio-nale relativa a questo argomento.
Le informazioni qui sotto contenute non sostituiscono in alcun modo il consulto e la visita medica ma, al con-trario, hanno lo scopo di incoraggiare i pazienti a consultare precocemente il medico qualora insorgessero problemi a carico degli arti inferiori.
Dott. Ezio Faglia - Dott. Giacomo Clerici
A T T E N Z I O N E
Il POST INFORMATIVO contiene immagini fotografiche che potrebbero turbare il visitatore.
Pertanto, chiunque persona si ritenga particolarmente sensibile non acceda alle figure della sezio-ne "Il Piede Diabetico", alle schede della sezione "Casi Clinici" o ai contenuti multimediali della sezione "Filmati".
A tutela della sensibilità del visitatore i contenuti potenzialmente critici sono sempre evi- denziati dal simbolo .



Responsabile Scientifico: dott. Giacomo Clerici
Responsabile UO Diabetologia e Trattamento Piede Diabetico
IRCCS Casa di Cura Multimedica
Via Milanese, 300 - 20099 Sesto San Giovanni (Milano)
PROGRAMMA DEFINITIVO
09.45-10.00 Introduzione ed obiettivi del corso - G. Clerici
10.00-10.30 Piede Neuropatico e Piede Ischemico: dalla Fisiopatologia alla Clinica per capire la Terapia.
                     - M.Caminiti
10.30-11.00 L’infezione del Piede: quando il paziente rischia l’arto e quando la vita. G. Clerici
11.00-11.10 Coffee Break
11.10-11.40 Il Piede di Charcot e la corretta Ortesizzazione: solo scarpe e plantari? M. Tulipani
11.40-12.00 Le lesioni di avampiede, mesopiede e retropiede in cosa differiscono? E. Faglia
12.00-12.30 Le calzature e le ortesi “da ulcera” quando si deambula e quando si sta a letto: le conoscenze
                    di un Podologo perfezionato nella cura del Piede Diabetico. - M. Palazzesi
12.30-13.10 Il Podologo alla sbarra: quando la responsabilità non è solo del medico. C. Palla
13.10-14.10 Lunch
14.10-14.40 Un piede ben medicato è un piede ben curato. Il Podologo all’atto della medicazione.
                    - C. Pirani
14.40-15.40 Passiamo alla pratica: il confezionamento di plantari con diversi materiali. Le calzature di pre-
                     venzione primaria e secondaria. Prova pratica sui pazienti. M.Tulipani/M. Palazzesi
15.40-16.10 Dibattito
16.10-16.40 Conclusioni e Take Home Message.
FACULTY
• Maurizio Caminiti - UO Diabetologia e Trattamento Piede Diabetico IRCCS Casa di Cura Multimedica - Sesto San Giovanni (Mi)
• Giacomo Clerici - Responsabile UO Diabetologia e Trattamento Piede Diabetico IRCCS Casa di Cura Multimedica - Sesto San Giovanni (Mi)
• Ezio Faglia - Responsabile Scientifi co IRCCS Casa di Cura Multimedica - Sesto San Giovanni (Mi)
• Michele Palazzesi - Podologo presso il Centro Piede Diabetico U.O. Malattie del Metabolismo e Diabe-tologia - I.N.R.C.A. Ancona (An)
• Claudia Palla - Avvocato - Pisa (Pi)
• Chiara Pirani - Podologa presso il Centro Piede Diabetico U.O. Malattie del Metabolismo e Diabetologia - I.N.R.C.A. di Ancona (An)
• Massimo Tulipani - Tecnico Ortopedico, Centro d’ortopedia tecnica del piede - Mendrisio (CH)
OBIETTIVI DEL CORSO
• il partecipante al termine del corso dovrà essere in grado di riconoscere i principali quadri clinici legati alla sindrome del piede diabetico;
• dovrà acquisire inoltre la capacità di decidere il trattamento più adeguato che il paziente necessita e la mo-dalità di ortesizzazione (il tipo di plantare, il materiale, il modello di calzatura: di serie o su misura?)
• acquisirà anche nozioni di medicina legale necessarie per evitare i più comuni errori causa di controversie civili/penali. Verranno fornite informazioni necessarie per la scelta di una corretta ortesi necessaria per la cu-
ra sia del paziente deambulante sia del paziente allettato.
                            Le infezioni nel piede diabetico
Il Piede Diabetico Introduzione
Ormai da molti anni i progressi nella cura della malattia diabetica hanno portato ad un allungamento del- l’aspettativa di vita dei diabetici che ormai non differisce sostanzialmente dall’aspettativa di vita della popo- lazione non diabetica.
I problemi principali oggi per i diabetici non sono più quelli legati alla sopravvivenza ma quelli legati alle complicanze croniche del diabete; sia microangiopatiche, cioè dei piccoli vasi arteriosi (retinopatia, ne-fropatia, neuropatia), sia macroangiopatiche, cioè dei grossi vasi arteriosi (cardiopatia ischemica, arte-riopatia degli arti inferiori, arteriopatia dei tronchi sovraortici).
Tra le complicanze del diabete un ruolo sempre più rilevante è assunto da quella che va sotto il nome di "Piede Diabetico"; questa è in assoluto la complicanza che comporta il maggior numero di ricoveri ospe-dalieri e per la quale i costi risultano ingenti.
Se si pensa alle previsioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha stimato in oltre 300 milioni il nu-mero di diabetici nel 2025 rispetto ai 120 milioni calcolati nel 1996 si può facilmente immaginare quale di-mensione assuma questo problema: stime di questa patologia dicono infatti che circa il 15% dei diabetici andrà incontro nella vita a un’ulcera del piede che richiederà cure mediche.
Il problema più rilevante legato ad un’ulcera del piede nei diabetici è il rischio di una amputazione maggiore, ossia effettuata sopra la caviglia; pur rappresentando la popolazione diabetica all’incirca il 3% della popolazione generale, più del 50% di tutte le amputazioni maggiori riguardano proprio i diabetici.
Ma il fatto che più deve far riflettere è il seguente: su 100 diabetici amputati circa 84 hanno avuto come causa dell'amputazione un’ulcera del piede aggravatasi nel tempo.
E’ evidente quindi che se si vuole ridurre il numero delle amputazioni è necessario migliorare la capacità di curare efficacemente e precocemente l’ulcera; per raggiungere questo obbiettivo è necessario disporre di protocolli diagnostici e terapeutici efficaci e di tutte le professionalità necessarie (Figura 1).
Protocollo di diagnosi e cura del piede diabetico ulcerato e professionalità necessarie per la sua applicazione (Rx : radiografia - RMN : risonanza magnetica nucleare - Tx : trapianti o innesti o lembi - PTA : angioplastica percutanea).
Ridurre il numero di amputazioni è un obiettivo fondamentale per la cura del paziente diabetico; ma quali sono concretamente le possibilità di raggiungerlo?
Fornire una risposta a questa domanda è estremamente difficile perché mancano dati precisi su quanto av-viene in tutta Italia; tuttavia nei Centri che si sono specializzati nella cura del piede diabetico è stata rilevata una riduzione significativa del numero di amputazioni maggiori tra l’inizio degli anni 90 e l’inizio del 2000.
Questo potrebbe significare che i mezzi per ridurre le amputazioni esistono ma l'ottenimento di risultati su vasta scala non può prescindere dalla creazione di una efficiente organizzazione che implementi le linee guida esistenti e identifichi i Centri specialistici a cui inviare i pazienti con ulcera del piede.
E’ necessaria a questo punto una considerazione fondamentale: il piede diabetico è nella maggior parte dei casi la punta di un iceberg, al disotto della quale coesistono un insieme di altre patologie, legate direttamente o meno al diabete, che necessitano a loro volta di essere curate contemporaneamente al piede.
Tutto questo rende il diabetico con ulcera del piede un paziente particolarmente complesso e fragile (Figura 2).
Paziente ricoverato per gangrene del piede, affetto da cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa, neuropatia diabetica, insufficienza renale di grado medio, dislipidemia, allergia ad agenti vari: sviluppo di colite pseudomembranosa da antibiotici.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005
 Il Piede Diabetico Introduzione
Si parla di piede diabetico quando la neuropatia diabetica o l’arteriopatia degli arti inferiori compromettono la funzione o la struttura del piede (Figura 3).
Schema di formazione dell’ulcera neuropatica e dell’ulcera ischemica.
Per la spiegazioni si rimanda al testo.


I due quadri, definiti anche come piede neuropatico o piede ischemico, sono profondamente diversi tra lo ro: tuttavia nella gran parte dei soggetti, soprattutto di età avanzata, coesiste sia la neuropatia che la vasculo-patia e si parla quindi di piede neuroischemico.
Un grave rischio di complicazione per un piede diabetico, in presenza di una ulcera aperta, è la probabile insorgenza di una infezione; questa infatti costituisce spesso la vera causa che ne determina l'amputazione.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005
                                   Il Piede Diabetico  Piede Neuropatico
Il piede non è solamente un organo deputato al movimento: è un organo complesso che esplica la sua funzio ne fornendo informazioni al cervello sotto forma di sensazioni e ricevendo da questo ordini motori.
Le informazioni sensitive ci avvertono della temperatura e delle asperità del terreno su cui camminiamo, della pressione esercitata sul piede e delle sollecitazioni che provocano dolore su di esso.
La deambulazione è la conseguenza di ordini provenienti dal cervello che provvede a muovere in sincronia i muscoli del piede che si contraggono o si rilasciano, in sinergia con tutti i muscoli del corpo, in funzione della necessità del passo o della postura.
La conservazione della temperatura, della idratazione cutanea e del trofismo avviene tramite fibre nervose che non dipendono dalla volontà ma che lavorano autonomamente, indipendentemente dalla coscienza.
La neuropatia diabetica colpisce sia i nervi sensitivi (neuropatia sensitiva) sia i nervi motori (neuropatia motoria) sia i nervi vegetativi (neuropatia autonomica); il piede neuropatico pertanto è un piede in cui la neuropatia diabetica ha modificato l’equilibrio muscolare, la percezione degli stimoli, l’autoregolazione ve-getativa, cioè tutte e tre le componenti nervose.
Neuropatia sensitiva
La neuropatia sensitiva colpisce le fibre nervose che inviano le sensazioni al cervello.
La conseguenza più grave è la diminuzione della soglia del dolore che può assumere differenti livelli di gra-vità; alcuni pazienti hanno infatti piedi poco sensibili altri perdono a tal punto la sensibilità da poter soppor- tare un intervento chirurgico senza anestesia.
La mancanza di stimoli dolorifici, che a prima vista può sembrare un vantaggio, si rivela in realtà una sciagura perché il dolore è un sintomo che ci avverte che qualcosa ci sta danneggiando.
Ad esempio, è il dolore che ci avverte che una scarpa è troppo stretta spingendoci a toglierla; se manca il do lore continueremo a calzarla per tutta la giornata e, quando la toglieremo, ci accorgeremo tardivamente della lesione ulcerativa che si è formata.
Questo esempio non è riportato casualmente: nella letteratura medica si riscontra che oltre il 30% delle ul-cere del piede nei diabetici sono causate da scarpe inadatte.
Ugualmente, è il dolore che ci avverte se abbiamo i piedi troppo vicini al fuoco del camino o se la sabbia su cui camminiamo è piena di cocci di vetro o conchiglie che ci feriscono.
La neuropatia sensitiva è quindi una patologia che consente ad un trauma di perdurare nel tempo tanto da de terminare una lesione senza la percezione di alcun segnale premonitore.
Oggi esistono metodi diagnostici semplici, poco costosi, innocui e rapidamente applicabili che possono rive-lare precocemente la presenza di una neuropatia sensitiva ( Figura 4).
Monofilamento di Semmes-Weinstein 10 grammi per la valutazione della sensibilità pressoria.
Diapason per la valutazione della sensibilità vibratoria.
Biotesiometro per la valutazione della sensibilità vibratoria.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

Un metodo è la valutazione della sensibilità pressoria col monofilamento di Semmes-Weinstein (5.07-10 g).
Questo semplice strumento, che sta comodamente nel taschino del camice, è costituito da un filo di nylon li- bero ad un’estremità e ancorato ad un "bastoncino" rigido all’estremità opposta.
Questo filamento viene appoggiato su alcuni punti del piede, a livello della pianta e del dorso, e premuto si- no a determinarne la flessione (piegamento).
Il filamento comunemente usato si piega quando viene applicata una pressione superiore a 10 grammi; una ri duzione o addirittura la scomparsa della capacità di riconoscere la pressione del monofilamento su tutti i pun ti del piede testati ci dice che il paziente ha una compromissione sensitiva pressoria.
Il diapason e il biotesiometro, strumenti anch’essi di basso costo, di facile utilizzo e di poco ingombro, tras-mettono sul piede una vibrazione di intensità variabile.
Se il soggetto non avverte la vibrazione o la avverte solo a una soglia elevata (superiore a 25 V) significa che ha un deficit della sensibilità vibratoria.
Se manca la sensibilità tattile e vibratoria possiamo essere certi che il soggetto che stiamo visitando ha un al-to rischio di ulcerazione del piede e come tale deve essere attentamente seguito nel tempo.
Neuropatia motoria
La neuropatia motoria colpisce le fibre nervose che innervano i muscoli del piede.
Queste fibre nervose sono deputate a dirigere i comandi del cervello ai muscoli, determinandone quindi i mo vimenti.
Quando un nervo che va ad un muscolo subisce un danno, il muscolo stesso soffrirà reagendo con una in-voluzione: questa si esprimerà in termini di ipotrofia e atrofia.
L’atrofia di un muscolo o un gruppo di muscoli porterà ad uno squilibrio tra muscoli o gruppi di muscoli.
Tipicamente nel diabetico con neuropatia motoria si crea uno squilibrio tra muscoli estensori e flessori e un conseguente sbilanciamento tra le varie strutture tendinee che squilibreranno a loro volta le relative artico-lazioni.
In parole più semplici, quando un muscolo si "retrae" perché si atrofizza, il tendine di quel muscolo tra-scinerà indietro l’articolazione sulla quale è inserito.
Il risultato finale sarà la griffe delle dita (queste si atteggeranno in modo tale da ricordare gli artigli ani-mali), la prominenza delle teste metatarsali o l’accentuarsi del cavismo del piede, etc. ( Figura 5).
Soggetto con neuropatia motoria.
Si notino i solchi tra i tendini e le dita in griffe.


Si noti il cavismo del piede.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

Queste deformità possono coesistere nello stesso piede e, in taluni casi aggravare deformità già presenti (es. l’alluce valgo che peggiora il proprio grado di valgismo).
Tutto questo porta a una deformazione del piede e ad una modificazione dell’appoggio plantare con una con seguente alterazione della superficie d’appoggio che si ridurrà a punti particolari (es. teste metatarsali, tallo ne).
Tale sconvolgimento dell’appoggio del piede detemina un ipercarico (punto di maggior appoggio, quindi di maggiore pressione) in alcune aree e un carico minore in altre.
L’organismo nel tentativo di difendersi da questo eccesso di carico irrobustisce il foglietto più superficiale della pelle, lo strato corneo, nelle zone in cui si sviluppa una maggiore pressione: è questo il quadro tipico delle callosità della pianta del piede, definita con il termine medico di "ipercheratosi" ( Figura 6).
Pressioni elevate alla pianta del piede provocano callosità nei punti di maggior pressione.




Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

L’ipercheratosi è un tentativo estremo del piede di difendersi dall’eccesso di carico, ma è una difesa labile nel tempo: se non si provvede a ridurre l’iperpressione in quel punto, a lungo andare si formerà un ematoma da schiacciamento e, perdurando l’ipercarico, inevitabilmente si produrrà un’ulcera ( Figura 7).
Callosità nei punti di iperpressione, formazione di ematomi (figura sotto) e di ulcera (figura in fondo).


Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

L’ipercheratosi è visibile all’ispezione del piede, ma un picco di iperpressione in punti specifici del piede, anche in assenza di ipercheratosi, è diagnosticabile con apposite carte podobarografiche o pedane podo- baro-metriche che danno un’immagine visibile e/o numerica delle pressioni plantari (Figura 8).
Valutazione dell’appoggio plantare con carta podobarografica.


Valutazione dell’appoggio plantare con pedana podobarometrica.


Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005
La neuropatia autonomica
L’influenza della neuropatia autonomica è molto meno conosciuta e, probabilmente, meno rilevante rispet-to al devastante impatto della neuropatia sensitiva e motoria.
La conseguenza più immediatamente visibile della neuropatia autonomica è la secchezza (anidrosi) del piede dovuta al mal funzionamento delle fibre nervose che regolano l’attività delle ghiandole secretorie della cute.
La secchezza può provocare fissurazioni (taglietti) della cute ( Figura 9),
Secchezza della cute causata da neuropatia autonomica.
Si noti la formazione di una fissurazione sul calcagno in sede di rilevante secchezza della cute.


Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 200

soprattutto al tallone, che sono una facile porta di ingresso per i germi, anche a causa del diverso PH (grado di acidità della pelle) che si viene a creare per l’anidrosi.
Un altro aspetto clinico facilmente visibile in un piede neuropatico e imputato alla neuropatia autonomica è l’edema della gamba e del piede; questo aspetto sembra essere legato ad una alterazione nella rego-lazione del microcircolo.
Fisiologicamente il sistema autonomico simpatico determina una vasocostrizione a livello delle arteriole e con trolla il flusso sanguigno cutaneo attraverso le anastomosi (vasi di collegamento) artero-venose.
La neuropatia autonomica comporta una perdita del tono simpatico con relativa alterazione del flusso cir-colatorio in questo distretto.
Aumenta infatti l’afflusso di sangue cutaneo che si evidenzia clinicamente con un aumento della temperatura; aumenta altresì la permeabilità capillare per l’aumento della pressione idrostatica nel microcircolo: questo è il meccanismo attraverso il quale si origina l’edema degli arti inferiori ( Figura 10).
Edema dell’arto inferiore (segno della fovea) in paziente diabetico con neuropatia autonomica.


Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

Sembrerebbe infine che la neuropatia autonomica sia causa delle calcificazioni della parete arteriosa nella tunica media (la cosiddetta sclerosi di Monckeberg); questo aspetto è da tenere presente in particolar modo quando si va alla ricerca di una concomitante arteriopatia degli arti inferiori (Figura 11).
Calcificazioni della tunica media arteriosa visibili radiologicamente.
Si noti come le calcificazioni interessino anche le arterie interdigitali
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

La rigidità del vaso arterioso, infatti, determina una incomprimibilità dello stesso che, nello screening per ar-teriopatia, può falsare i dati rilevati con la misurazione dell’ABI (Ankle Brachial Index) con il Doppler e indurre di conseguenza l’operatore a ritenere neuropatico un piede che in realtà è neuroischemico (per l’approfondimento di questo argomento vedi il capitolo relativo al piede ischemico).
La cura dell’ulcera plantare
L’ideale sarebbe identificare tutti quei soggetti diabetici affetti da neuropatia e da deformazioni dei piedi per attuare un programma di prevenzione che riesca a ridurre il rischio di comparsa di lesioni ulcerative.
Nonostante si cerchi di effettuare una efficace prevenzione, ma ancor più se questa non si attua, un piede neuropatico può ulcerarsi.
Il problema a questo punto è curare l’ulcera nel migliore dei modi e di conseguenza farla guarire il prima possibile.
La cura dell’ulcera neuropatica plantare si basa fondamentalmente su tre momenti:
- la cura locale della lesione (cioè la pulizia dell’ulcera e la medicazione)
- il trattamento di eventuali infezioni
- lo scarico della lesione ulcerativa (cioè evitare che questa sia gravata dal peso del corpo durante la deambulazione).
E’ di fondamentale importanza rimarcare il fatto che la mancata attuazione anche di uno soltanto di questi mo
menti terapeutici diminuisce drasticamente la probabilità di guarigione della lesione ulcerativa, con il rischio anzi di un suo peggioramento nel tempo.
L’ulcera neuropatica, per i motivi che abbiamo visto in precedenza, è nella maggior parte dei casi localiz-zata in sede plantare.
La cura di un’ulcera plantare, come d’altronde di tutte le ulcere, prevede non soltanto che sia curata la le-sione ma che sia eliminata la causa che l’ha prodotta, nel nostro caso l’iperpressione.
Il primo passo sarà quindi il cosiddetto "debridement" dell’ulcera che consiste nell’eliminare tutti i tessuti non vitali fino ad arrivare a tessuti ben sanguinanti ( Figura 12).
Debridement di una lesione ulcerativa fino al tessuto sano, vitale.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

Sovente questo approccio è mal compreso e quindi mal accettato dal paziente che, prima del debridement, presenta una lesione non sanguinante e di ridotte dimensioni ( Figura 13).
Per la spiegazione si rimanda al testo.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

Il debridement infatti, rimuovendo il tessuto calloso non vitale, evidenzia l’ulcera sottostante, nascosta dal- l’ipercheratosi, che presenta una dimensione sensibilmente maggiore.
Questa momento terapeutico è tuttavia indispensabile: l’ipercheratosi non è un tessuto capace di rigenerare cellule viventi ma tende anzi a "soffocare" il tessuto vitale sottostante necessario per la guarigione; se non si elimina l’ipercheratosi non si otterrà mai la guarigione dell’ulcera.
Ma il debridement è solo il primo passo nella cura dell’ulcera: se anche abbiamo fatto un preciso debride- ment e applicato una medicazione "avanzata" di ultima generazione ma rimettiamo il piede medicato in una scarpa qualsiasi (Figura 14)
Scarpa del tutto inadatta a contenere un piede con fasciatura.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

non avremo eliminato la causa che ha prodotto l’ulcera, cioè l’iperpressione e la frizione.
Questa continuerà ad offendere l’ulcera, anche se medicata, ostacolandone il processo di riparazione.
E’ stato infatti dimostrato da uno studio italiano che i fibroblasti, cellule necessarie per la guarigione dell’ul-cera, se traumatizzati dal carico non possono adempiere correttamente alle funzioni rigenerative, al contrario di quelli protetti da uno scarico adeguato.
Un passo indispensabile sarà quindi lo scarico della lesione ulcerativa; questo può essere ottenuto banal-mente col riposo a letto o con l’utilizzo della carrozzella.
Tuttavia un’ulcera impiega molto tempo per guarire e rimanere a letto per 2-3 mesi non è solo difficile da at tuare ma potrebbe rivelarsi dannoso per l’organismo (si pensi, ad esempio, alla possibile formazione di nuove ulcere da decubito al tallone o alle regioni sacrali).
Anche il ricorso alla carrozzella è improponibile a causa del disagio che ne deriva; dai minimi spostamenti necessari per l'assolvimento dei propri bisogni fisiologici sino alle limitazioni imposte dal dover affrontare scale o barriere architettoniche.
La terapia ottimale, in termini medici definita "gold standard", è uno "stivaletto" che permetta di sca-ricare completamente il piede pur permettendo una relativa mobilità.
Tale approccio terapeutico è noto da parecchi anni ma è stato scarsamente utilizzato essenzialmente per la possibilità che lo stivaletto potesse provocare ulteriori ulcere da pressione o da frizione.
Queste conseguenze erano dovute alle caratteristiche di rigidità del materiale utilizzato, il comune gesso orto-pedico ("benda gessata di Parigi"); è stato merito proprio della scuola Italiana aver individuato nuovi mate riali a rigidità modulabile in grado di annullare questi effetti negativi (Figura 15).
Apparecchio di scarico totale con staffa o con tacco; il paziente grazie a questa ortesi può deambulare senza gravare sulla lesione ulcerativa plantare.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

Apparecchi di scarico realizzati con questi materiali (vetroresina) vengono utilizzati nei Centri specializzati nella cura del piede diabetico, consentendo una guarigione dell’ulcera plantare in percentuale molto elevata e in tempi relativamente brevi (Filmato "Apparecchio di Scarico").
Filmati Apparecchio di Scarico
Nel filmato possiamo osservare la tecnica di confezionamento dell’apparecchio di scarico in vetroresina utilizzato per la cura dell’ulcera neuropatica plantare.
Filmato "Apparecchio di Scarico" (Durata: 1 minuto 41 secondi)
Connessione Modem Analogico
Connessione ISDN
Connessione xDSL
Download


NOTA


Il filmato è disponibile nel formato WMV (Windows Media Video).
Gli utenti Windows che hanno installato sul proprio computer Windows Media Player (consigliamo, ove possibile, l'aggiornamento alla Serie 9 o successiva), possono visualizzare direttamente il filmato con un click del mouse in corrispondenza della opzione relativa alla modalità di connessione internet.
In alternativa, volendo utilizzare un proprio visualizzatore, purchè in grado di supportare il formato adottato, è possibile scaricare il filmato con un click del mouse in corrispondenza della opzione di download.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

Nei soggetti in cui è controindicato l’utilizzo dell’apparecchio di scarico (pazienti che presentano difficoltà a camminare, ad esempio per un ictus o per un’amputazione maggiore dell’altro arto, pazienti ipo-vedenti, con vene varicose, etc.) può essere utilizzata una scarpa preformata, caratterizzata da un plan- tare convenientemente "scavato" in corrispondenza della zona ulcerata; tale calzatura è stata ideata in modo da poter contenere anche un piede "abbondantemente" medicato (Figura 16).
Scarpe adatte a contenere un piede medicato e un plantare di scarico.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

Recenti studi, alcuni pubblicati ed altri tuttora in corso, stanno evidenziando una buona efficacia utilizzando come mezzo di scarico uno stivale pneumatico rimovibile in plastica (Aircast®).
Il piede diabetico neuropatico è sovente un piede visibilmente deforme per griffe delle dita, cavismo, pro-minenze ossee; se queste deformità sono molto gravi, ma soprattutto se determinano la ricomparsa di ulcere (recidive), può essere opportuna una loro correzione chirurgica.
In particolare l'alluce valgo, dita in griffe e il cavismo del piede sono deformità di frequente riscontro che possono essere corrette chirurgicamente ( Figura 17 e Figura 18).
Correzione chirurgica allineamento di deformità del 1° dito.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005Figura 18
Intervento di ulcerectomia e correzione chirurgica dell’accentuato cavismo.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

Anche in questo caso è importante rimarcare il fatto che risulta prioritario escludere una eventuale arterio-patia prima di sottoporre un paziente ad un intervento di correzione delle deformità per evitare l’insuccesso della procedura chirurgica ( Figura 19).
Il paziente è stato sottoposto ad intervento ortopedico di correzione con successiva gangrena di parte dell’avampiede.
E’ stato quindi sottoposto ad amputazione transmetatarsale con risparmio del I° raggio che, come visibile nella figura, è esitata ancora in una gangrena della ferita chirurgica.
Giunto alla nostra attenzione è stato prima sottoposto ad arteriografia e angioplastica percutanea dell’arteria poplitea, del tronco tibio-peroniero, della tibiale anteriore, della peroniera e della tibiale posteriore, succes-sivamente ad amputazione di Chopart per l’estensione in profondità della gangrena (umida).
Prima della rivascolarizzazione il paziente presentava un ossimetria transcutanea di 21 mmHg dopo la pro-cedura il controllo di tale valore e stato di 66 mmHg.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005
                                  Il Piede Diabetico Piede di Charcot
Esistono a tutt’oggi ampi margini di incertezza sulle cause che determinano l'instaurarsi del piede di Char- cot; ciò che sappiamo per certo è che si accompagna sempre alla presenza di neuropatia diabetica.
Il piede di Charcot è un piede nel quale si instaura una patologia delle ossa e delle articolazioni del pie- de: come conseguenza le ossa si frammentano e si deformano tanto da perdere i normali rapporti articolari.
L’architettura del piede viene così fortemente compromessa: il risultato finale sarà quindi una grave defor-mità del piede.
Questa affezione, se non diagnosticata e quindi non curata al suo esordio (cosiddetto Charcot acuto), evol-ve verso quadri di deformità tali da procurare ulcere difficilmente guaribili o recidivanti che alla fine possono portare anche alla amputazione dell’arto.
I dati epidemiologici in letteratura sono molto scarsi e discordanti: questo perché si tratta di una patologia po co conosciuta e spesso sottostimata.
Charcot acuto
L’esordio acuto del piede di Charcot è caratterizzato dai segni di infiammazione acuta: arrossamento, do-lore e aumento della temperatura del piede; è inoltre possibile che vi siano piccole fratture ( Figura 20),
Improvviso dolore, arrossamento e gonfiore del piede destro.
All’rx frattura alla base dei primi metatarsi e alle ossa del mesopiede.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005
che possono anche sfuggire all'esame rediografico.
Il problema della diagnosi corretta di Charcot nella sua fase acuta deriva dal fatto che la presenza di dolore, edema e arrossamento del piede possono essere interpretati come sintomi di distorsione, flebite, infezione dei tessuti molli o quant’altro ( Figura 21);
Quadri acuti di piede di Charcot: edema e arrossamento.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005
in questo caso il paziente continua a camminare aggravando la malattia.
Essenziale per la corretta diagnosi nella fase acuta è la valutazione della temperatura del piede, che risulta au mentata di almeno due gradi rispetto al controlaterale ( Figura 22),
Apparecchio per la misurazione della temperatura cutanea.
Utile per la valutazione della differenza tra la temperatura di un piede rispetto al controlaterale.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

e della radiografia, che va ripetuta a distanza di 15 giorni dalla prima e successivamente per monitorare l’evo luzione.
Se si interviene all’esordio dello Charcot, si può fermare o almeno rallentare il processo di degenerazione os sea tentando di impedire che il piede diventi deforme.
La terapia della fase acuta dello Charcot consite nella immobilizzazione con stivaletto rigido (diverso dal- l’apparecchio di scarico per la cura delle ulcere neuropatiche); è assolutamente categorico in questa fa-se che il piede non appoggi mai per terra perché il carico contribuisce al procedere del sovvertimento os-seo. Questo stivaletto deve essere tenuto per molti mesi, almeno tre/quattro; generalmente associando una terapia medica con difosfonati.
Ottenuta la stabilizzazione del quadro si dovrà categoricamente prescrivere un’ortesi con scarpa su misura e plantare su calco che contenga alla perfezione il piede e la caviglia provvedendo il più possibile a stabiliz-zarlo durante il passo.
Charcot cronico
Se la fase acuta non viene diagnosticata e curata correttamente e si continua a camminare con scarpe co-muni, progressivamente i rapporti tra le varie ossa del piede si alterano, vengono persi i normali rapporti articolari, si verificano frammentazioni e distacchi parcellari. Tutte queste anomalie aumentano nel tempo e conducono a quadri sempre più gravi di deformità ( Figura 23)
Quadri cronici di piede di Charcot evoluti in gravi deformità.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005
fino alla impossibilità di distinguere le ossa tra di loro (alla radiografa il piede sembra un sacchetto con frammenti ossei).
Come è logico aspettarsi, più il piede aumenta la sua deformità più è probabile che si formino delle ulcere, la cui guarigione è tanto più difficile quanto più grave è la deformità.
La gravità dello Charcot è strettamente legata alla sede primitiva della parte del piede interessata dal pro-cesso: l’interessamento dell’avampiede ha un rischio di amputazione basso, più alto è il rischio quando vie- ne interessato il mesopiede (articolazioni dei cuneiformi, del cuboide e dello scafoide), altissimo quando vie ne intaccata la caviglia.
Un problema di importanza rilevante subentra quando lo Charcot presenta un’ulcera; in questo caso la dia-gnosi differenziale tra Charcot senza Osteomielite e Charcot con Osteomielite è essen-ziale per i provvedimenti terapeutici.
Spesso la sola radiografia standard non è sufficiente ma devono essere presi in considerazione esami più sofisticati, come la TAC e la RMN.
La terapia delle deformità croniche dello Charcot è legata alla presenza o meno di un’ulcera e al pericolo che sotto l’ulcera vi sia una infezione dell’osso.
Se l’infezione è presente, è indispensabile rimuovere l’osso o le ossa infette; di qui la necessità di prov-vedere ad amputazioni maggiori, situate cioè al di sopra della sopra della caviglia, quando le ossa del retropiede, calcagno e astragalo, sono coinvolte dall’Osteomielite.
In assenza di Osteomielite è possibile pensare a un intervento chirurgico che corregga le deformità; l’intervento chirurgico è categoricamente da effettuarsi a stabilizzazione del quadro clinico e radiologico, an-che se alcuni autori americani hanno effettuato interventi nella fase acuta.
Il tipo e la sede dell’intervento dipendono dalla deformità ossea.
E’ possibile a volte effettuare interventi semplici di ostectomia decompressiva (eliminazione della parte di osso che provoca una pressione patologica sui tessuti, al riguardo si rimanda alla sezione Casi Clinici - Caso Clinico 8).
In caso di Charcot del mesopiede è possibile eseguire Osteotomie di riallineamento e usare mezzi di sintesi quali fili o viti ( Figura 24)
Piede di Charcot cronico con deformazione mediale: correzione chirurgica con fili e cambra metallici.
Risultato post operatorio e paziente guarito con scarpa su misura con contrafforti laterale e mediale.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005
che possano garantire una maggiore stabilità del piede.
In caso di Charcot della caviglia si può effettuare una stabilizzazione con chiodo endomidollare tibiale.
Tuttavia è bene sapere che se è abbastanza semplice un intervento di Osteotomia, gli interventi di riallineamento e stabilizzazione sono molto complessi e di esito non sempre favorevole; necessitano comun-que sempre di un lungo periodo di cure dopo l’intervento e di scarpe su misura che contengano il piede e la caviglia.
In conclusione si può dire che l’Osteoartropatia di Charcot è una patologia di per sé gra ve e tale gravità viene ulteriormente accentuata da una stima non adeguata; tale sottostima deriva dalla man-cata diagnosi della fase acuta e dal ritardo dell’intervento chirurgico nella fase cronica.
Tuttavia, anche nel caso di perfetta tempistica diagnostica e curativa si tratta di una patologia che mette a du-ra prova sia il medico che il paziente.
Ultimo Aggiornamento: 17 Febbraio 2005

IL DEBRIDEMENT A ULTRASUONI

debridement a ultrasuoni a domicilio Milano
La procedura di trattamento delle lesioni cutanee, che siano da pressione (lesioni da decubito) o vascolari (lesioni cutanee arti inferiori), ci dice che per portare a guarigione una ferita è neces sario seguire alcuni passaggi fondamentali.
La prima cosa da fare è quella di rimuovere il tessuto inerte, ne-crotico che non permette al fondo di lesione di granuleggiare. 
Il tessuto necrotico è inoltre privo di ogni difesa immunitaria e ri-sulta facilmente colonizzabile dai batteri. 
Successivamente è indispensabile il controllo della carica batterica e il controllo dell'essudato.
Sono passaggi fondamentali che trovano tempi e modi diversi a seconda dell'approccio tera-peutico utilizzato.
La moltitudine di medicazioni avanzate in commercio, ci facilita molto questi passaggi, ma il debridement cioè la rimozione di tessuto necrotico rappresenta spesso la fase più lunga e de licata.
Soffermiamoci sul debridement
In commercio esistono molte medicazioni avanzate con questa indicazione. 
Ricordiamo per la maggiore gli Idrogeli che rimuovono il tessuto inerte disgregandolo per ma-cerazione, essendo perlopiù composti da acqua. 
Sono utilizzate a questo scopo anche medicazioni ipertoniche sotto forma di garze saline. 
Per l'utilizzo dei primi (Idrogel) occorre fare attenzione alla macerazione della cute perilesiona-le, mentre per le medicazioni ipertoniche a componente salina è necessario fare attenzione in quanto necrotizzano i tessuti vitali circostanti.
Il debridement chirurgico rappresenta quindi l'unica metodica efficace in termini di tempo. 
E' di competenza medica se fatto con bisturi e curetta in quanto non selettivo, cioè si rischia di aggredire e rimuovere anche i tessuti vitali con probabilità di sanguinamento.
Una procedura di debridement più dolce e selettiva è rappresentata dalla tecnologia a ultra-suoni. 
Questa tecnologia è nota da tempo, il dentista la utilizza frequentemente per l'ablazione del tar-taro e anni addietro veniva utilizzata per la disostruzione carotidea, poi soppiantata dall'utilizzo degli “stent”.
Negli ultimi anni la tecnologia a ultrasuoni è stata rivalutata da alcune aziende di elettromedi-cali e perfezionata per l'utilizzo sulle lesioni cutanee. 
I risultati sono ineguagliabili rispetto a ogni metodica chirurgica perchè offre i seguenti vantag-gi:
atraumaticità (scarso sanguinamento, possibilità di trattare pazienti scoagulati);
indolore rispetto a un curettage chirurgico;
killing batterico (riduzione della carica microbica indotta dalla temperatura del TIP);
ottimo risultato;
può essere utilizzato da personale paramedico in quanto metodica selettiva.

L'apparecchio elettromedicale per il debridement a ultrasuoni è compatto, trasportabile e quindi facilmente utilizzabile a domicilio.
In Italia siamo gli unici che utilizziamo questa tecnologia a domicilio (a mezzo personale infer-mieristico - Milano in testa) con enormi vantaggi sul decorso riparativo delle lesioni. 

Può essere sufficiente anche un solo trattamento. 
Il funzionamento è molto semplice: una punta (TIP) vibra con una frequenza di circa 22-24 mila Hz. e raggiunge una temperatura di circa 50° C. 
Il TIP è irrigato con soluzione fisiologica che implode con le vibrazioni determinando un effetto cavitazionale. 
Questi tre fenomi fisici determinano uno scollamento dei tessuti aventi densità diversa. 
Il trattamento non è lesivo per ossa e tendini. 
E' possibile utilizzare gli ultrasuoni per emulsionare la fibrina o il biofilm raggiungendo un ri-sultato ineguagliabile. 
Il trattamento ci permette di preparare un letto di lesione deterso, con bassa carica batterica quindi più facilmente gestibile con le medicazioni in uso.

L'unica azienda che produce l'apparecchio a ultrasuoni per il debridement delle lesioni in Italia è ITALIA MEDICA di Milano.


Pubblicato su Blogger oggi 14 Maggio 2012 alle ore 22,50 da: Giuseppe Pinna de Marrubiu




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