LA MEDICINA ETRUSCA
Articolo informativo di Giuseppe Pinna per S. O. S. - “Osteomielitici d’Italia” - Onlus «Centro Servizi Informativi On-line per Osteomielitici e Pazienti dell’Ospedale CODIVILLA-PUTTI di Cortina d’Ampezzo»; che ci addentra in un percorso storico narrandoci che: "durante il corso dei secoli la medicina ha attraversato diversi stadi che, secondo gli storici,
sono i seguenti: medicina istintiva, medicina sacerdotale, medicina magica, medicina empirica, medicina scientifica"
STORIA DELLA MEDICINA
ANTICA, MEDIEVALE E MODERNA
LA MEDICINA ETRUSCA
(dal 2000 a.C.)
Sarebbe ingiusto parlare -per un popolo come l'etrusco che a torto molti considerano "misterioso"- di medicina primitiva, rappresentata esclusivamente da un insieme di prati-che magiche e religiose di assai dubbia efficacia.
Anzi, gli Etruschi (la cui civiltà nota si estende tra il IX e il I secolo a.C.) erano molto rinomati nel mondo antico per la loro grande capacità di sfruttare le piante e le acque ai fini della te-rapia, di curare le ferite, di preparare protesi dentali, di controllare l'ambiente.
Oltre alle numerose citazioni degli Autori classici, una buona fonte di notizie in merito alla lo-ro medicina è offerta dalle raffigurazioni dei reperti archeologici, specialmente artistici e fu-nerari, molte delle quali testimoniano la particolare perizia degli Etruschi nella preparazione dei medicamenti, profondi conoscitori com'erano delle piante medicinali.
Medicinale intatto, nel suo contenitore originale, ha fornito la possibilità di indagare il principio medicamentoso con una vasta gamma di analisi da cui sono scaturiti dati importanti.
Quella sostanza, che già Plinio il Vecchio e successivamente Dioscoride descrivevano come curativa per gli occhi e per le malattie della pelle, trova ora un preciso riscontro nella composizione delle compresse pressappoco circolari e di colore grigio (pastiglie spesse un centimetro, con un diametro di quattro) che facevano parte del bagaglio di un medico che viag-giava a bordo della nave etrusca.
Impiegavano ad esempio la scommonea (contro l'itterizia), il ricino (purgativo), il mirto (as-tringente nei disturbi gastrointestinali), la felce maschio, l'aglio e la cipolla (contro i paras-siti intestinali), l'artemisia maritima, il coriandro e il timiano (contro gli ascaridi in particola- re), la camomilla (come calmante).
Verosimilmente gli Etruschi conoscevano anche l'uso della limatura di ferro e dell'ossido di ferro in varie malattie.
Impiegavano inoltre il cavolo e il vino contro la malaria, forse a simboleggiare la necessità di condurre una vita gioconda e di seguire un'alimentazione sana per preservarsi dal male.
Altre misure utilizzate contro la malaria consistevano nell'accendere grandi fuochi in campa-gna per purificare l'aria, nel bere decotti di varie piante, nell'assumere erbe odorose di essen
ze di ginepro e di rosmarino tramite suffumigi, e nell'indossare indumenti di lana e speciali manicotti.
Oltre agli infusi e ai decotti, essi prescrivevano anche cataplasmi e unguenti medicinali formu lati in composizioni segrete.
Gli Etruschi furono anche profondi conoscitori delle acque termali, che impiegavano largamen te nella cura di molte malattie.
Secondo la leggenda Ercole, per dimostrare la propria forza, infisse una lunga asta di ferro nel terreno: quando la estrasse, dal terreno sgorgò una ricca sorgente, la prima delle nu- merose altre che abbondano ancor oggi nel territorio dell'Etruria.
Ad esse gli Etruschi non solo ascrissero proprietà magiche, ma riconobbero virtù terapeuti- che.
Chianciano, Montecatini, S. Giuliano... già tremila anni fa erano frequentate da persone che vi cercavano beneficio per la propria salute.
E ciascuna fonte -proprio come oggi- aveva la sua specifica indicazione terapeutica.
Ma forse più di ogni popolo dell'antichità gli Etruschi si distinsero per la loro perizia in odon-toiatria.
Lo dimostrano le numerose e ingegnose protesi dentarie ritrovate negli scavi e nelle sepol-ture, dalle quali traspare una perizia tecnica davvero non comune.
Si tratta il più delle volte di protesi che per la loro precisione, funzionalità e resistenza hanno destato l'ammirazione dei dentisti odierni, e inducono a considerazioni al di là della medicina come tale, implicando problemi di ordine tecnico, funzionale, estetico.
Gli Etruschi erano del resto abilissimi nella lavorazione dei metalli, e non solo del ferro, del bronzo e del rame, ma anche dell'oro, dove eccelsero nella delicatissima tecnica della "granu lazione".
Quest'arte sopraffina l'applicarono anche alla preparazione di protesi dentarie, le quali assu-mono pertanto non di rado il carattere di vere e proprie "opere d'arte".
Coloro che le costruirono misero in atto non solo la propria perizia nell'arte di forgiare e di la- vorare i metalli utilizzando crogioli, trafile, pinze, saldatori, piccole incudini e trapani, ma ben conoscevano anche l'anatomia e la patologia dell'apparato masticatorio, le leggi fondamen- tali dell'ortodonzia, le indicazioni e le controindicazioni dei vari tipi di protesi: queste doveva- no adattarsi perfettamente alla parte, e rispondere pienamente alle esigenze della mastica- zione.
Tali protesi venivano costruite per sostituire i denti mancanti o per fissare denti vacillanti (ponti).
Per quanto riguarda i denti artificiali, questi erano per lo più rappresentati da denti umani (sia del paziente stesso che di un altro soggetto vivente), ma venivano anche utilizzati denti di bue o di vitello.
Se si considera l'alto rispetto che gli Etruschi nutrivano per i morti, è praticamente da esclu-dere che i denti provenissero da cadaveri.
Talora gli esperti ricorrevano ad ingegnosi artifici, che dimostrano ancora una volta quanto essi fossero padroni del proprio mestiere, e come conoscessero le leggi fondamentali del- l'ortodonzia e dell'estetica orale.
Al Museo nazionale di Tarquinia è conservato un dente bovino che venne applicato per sos- tituire tre denti incisivi: esso è solcato verticalmente in modo da simulare i denti mancanti e dare l'impressione interstiziale di soli due denti!
Non mancano però esempi in cui venivano sostituiti denti mancanti.
Nel caso di un’altra protesi tarquiniese andata perduta, il dentista aveva rimpiazzato due incisivi con un unico dente bovino inciso nel mezzo e limato nella parte superiore per adattar si alla gengiva, bloccato da due perni.
Anche in questa occasione, la protesi era stata legata ai denti superstiti mediante una fascia d’oro.
Gli Etruschi furono i primi a produrre protesi dentarie parziali.
Intorno al 700 a.C. le protesi costruite da questa civiltà erano così efficaci da consentire a chi non possedeva denti, di godere dei sapori culinari.
Ogni protesi poteva essere asportata per la pulizia oppure erano fisse ed ancorate ai denti originari.
Anche se le "prove" di una chirurgia in Etruria non sono molto copiose, tutto lascia presu- mere l'esistenza di un'arte chirurgica già agli inizi della sua storia, arte professata da uomini o sacerdoti il cui preciso compito era di suturare ferite, arrestare emorragie, immobilizzare fratture, ridurre lussazioni.
Gli scarsi strumenti sicuramente chirurgici o presunti tali (coltelli, pinze, sonde, specilli, cau-teri) reperiti negli scavi e nelle sepolture poco si differenziano da quelli che furono succes- sivamente usati dai Romani; né è da escludere che alcuni di essi provenissero dalla Grecia.
Molto più copiosi sono invece le notizie riguardanti una pratica che faceva parte integrante dell' "etrusca disciplina", l'aruspicina, per molti versi non dissimile da quella assiro-babi- lonese.
Essa implicava una grande perizia da parte degli Etruschi nel selezionare gli animali e nel-l'esciderne i visceri e il fegato prima di ispezionarli.
La parola "aruspice" deriva dal termine (forse assiro) har, che vuol dire fegato.
Non sono pochi i bassorilievi, i vasi e gli specchi ornamentali che ci mostrano gli aruspici impegnati in questa pratica.
(Fig.5 - lucerna etrusca con motivi astrali secolo VII a.C)
Ma il reperto più famoso, divenuto quasi antonomasia di aruspicina in Etruria, è il "fegato di Piacenza", trovato per caso nel 1877 da un contadino in una campagna del comune di Gos-solengo, a una decina di km da Piacenza.
Si tratta di un modello di fegato di ovino delle dimensioni 126 x 76 x 60 mm dotato di una su perficie pianeggiante sulla quale emergono tre protuberanze e sono incise ben quaranta is-crizioni, e di una parte convessa sulla quale spiccano due sole parole "sole" e "luna".
Oggi lo si considera come un "vademecum" del II secolo a.C. che l'aruspice portava con sé e al quale si riferiva al momento del bisogno.
Per di più poteva servire come modello per le lezioni ai discepoli.
Confrontando il fegato dell'animale sacrificato con il modello di bronzo, l'aruspice poteva met tere in relazione eventuali anomalie riscontrate in precisi punti del viscere con le divinità rela-tive a quei settori interessati al fenomeno e, di conseguenza, trarre auspici per il futuro.
Molto diffusa era in Etruria anche l'osservazione delle viscere negli animali sacrificati, il che la scia presumere una buona conoscenza dell'anatomia da parte di quei medici, i quali -proprio come i "colleghi" di altre civiltà- la trasferivano tuttavia automaticamente all'essere umano.
La perizia degli Etruschi nell'Arte Medica era rinomata nel mondo antico.
Gli autori classici ne parlano soprattutto riguardo alla conoscenza delle proprietà officinali del le piante e, in effetti, la farmacologia etrusca era sostanzialmente fitoterapia: profondi cono-scitori delle piante medicinali e della preparazione dei medicamenti, gli etruschi impiegava- no, ad esempio, il ricino (purgativo), il mirto (astringente), la camomilla (calmante), l’aglio e la cipolla (contro i parassiti intestinali) ed anche alcuni minerali come la limatura e l'ossido di ferro (anemie) rame (infiammazioni).
Dalle fonti archeologiche siamo in grado di capire quanto fossero approfondite le conoscenze dei medici etruschi: il rinvenimento di numerosi ex voto raffiguranti organi interni del corpo umano testimonia le loro conoscenze anatomiche:
Odontoiatri del mondo antico.
“L’Etruria è ricca di farmaci e la stirpe etrusca è assai esperta nella medicina”.
Teschi etruschi trapanati (600 a.C. circa).
Il campo in cui la scienza medica etrusca si distinse al di sopra di ogni altro popolo del-l’antichità fu, però, l’odontoiatria.
Famosi per la loro abilità nella lavorazione dei metalli, gli etruschi utilizzarono le tecniche del la lavorazione orafa per creare protesi dentarie di ottima fattura, ancora visibili nei teschi ri-trovati presso le loro necropoli.
Al Museo Nazionale di Tarquinia sono presenti ancora due protesi dentarie eseguite con l’ausilio di una sottile lamina d’oro, mentre altri materiali simili sono andati perduti nel 1916, a seguito di un furto.
La prima è costituita da una cerchiatura che racchiude tre denti dell’arcata superiore.
La seconda protesi, molto più complessa, unisce alla fascia principale quattro elementi saldati al suo interno a formare cinque cellette in cui collocare i denti.
In questi due casi la protesi doveva servire a rendere saldi dei denti indebolitisi a causa di malattie o con l’avanzare dell’età.
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