Corso di Aggiornamento
sulle
Infezioni Osteoarticolari
Di Giuseppe Pinna, S. O. S. - “Osteomielitici d’Italia” - Onlus «Centro
Servizi Informativi On-line per Osteomielitici».
Pubblicato su Blogger oggi 17 Aprile 2012 alle ore 20,36 da: Giuseppe Pinna
de Marrubiu
"Corso
sulle infezioni osteoarticolari"
Responsabile Scientifico: Dott. Francesco Centofanti
Segreteria Scientifica: Dott. Luigi Soliera - Dott.ssa Carmela Falcone
Cortina d'Ampezzo - 17 maggio 2008
Istituto "Codivilla Putti"
Responsabile Scientifico: Dott. Francesco Centofanti
Segreteria Scientifica: Dott. Luigi Soliera - Dott.ssa Carmela Falcone
Cortina d'Ampezzo - 17 maggio 2008
Istituto "Codivilla Putti"
QUELLA TEMIBILE
INFEZIONE
DELLE PROTESI ARTICOLARI
Si verifica
mediamente nel 2% dei casi anche in presenza di un’asepsi intraoperatoria
ottimale, di una procedura chirurgica corretta e di una profilassi antibiotica
adeguata.
Secondo i dati forniti dal dottor Francesco Centofanti, Direttore
del Reparto di Ortopedia dell’Istituto Codivilla di Cortina d'Ampezzo, relativi alle
infezioni protesiche trattate dal 1999 al 2008, su 1266 casi solo il 3%
riguarda spalla, caviglia e gomito mentre il 55% riguarda il ginocchio e il 42%
l’anca.
di Liana
Zorzi intervista il professor Francesco Centofanti
“Tutte le
protesi dolorose sono infette fino a prova contraria, ma non tutte le protesi
infette sono dolorose”, dichiara Francesco Centofanti, Direttore dell’Istituto
Codivilla Putti di Cortina d’Ampezzo, centro noto per la cura e il trattamento
delle infezioni.
“Non sempre infatti, la protesi dolorosa presenta un’infezione
– continua l’esperto, forte dell’esperienza clinica su migliaia di pazienti che
da tutta Italia si rivolgono al centro di Cortina.
– Potrebbe trattarsi invece
di una protesi instabile e in questo caso, il trattamento medico e chirurgico
cambia; è pertanto veramente importante che il medico faccia la diagnosi
corretta nel minor tempo possibile per poter affrontare correttamente quello
che, a mio parere, rappresenta un fallimento piuttosto che una complicanza
dell’intervento chirurgico”.
I REIMPIANTI
SONO PIU’ A RISCHIO
Secondo Assobiomedica, ogni anno in Italia sono 3600 i nuovi casi di infezione con una maggiore incidenza del ginocchio rispetto all’anca, come confermano i dati dell’Istituto Codivilla Putti, e con una spesa di 90-100 milioni di euro/anno.
Secondo Assobiomedica, ogni anno in Italia sono 3600 i nuovi casi di infezione con una maggiore incidenza del ginocchio rispetto all’anca, come confermano i dati dell’Istituto Codivilla Putti, e con una spesa di 90-100 milioni di euro/anno.
Per esempio, il costo per una revisione di protesi di anca infetta è
2,8 volte quello di una revisione non settica, 4,8 volte quello di un impianto
primario.
“L’incidenza delle infezioni protesiche tende ad aumentare nei
reimpianti, cioè quando la protesi va sostituita – afferma l’esperto – perché
si tratta di un intervento che ‘agisce’ su una situazione già compromessa da un
intervento precedente, dove la cute è già stata incisa, l’osso ‘modificato’
tanto da poter ospitare una protesi. Insomma, con i dati di cui disponiamo
oggi, è possibile prevedere che l’incidenza delle infezioni sui reimpianti
tenderà sicuramente ad aumentare”.
↓ Protesi artificiale dell'anca
COME SI
INFETTA UNA PROTESI ?
L’infezione più temibile è la periprotesica, ovvero l’infezione adesa alla protesi .
L’infezione più temibile è la periprotesica, ovvero l’infezione adesa alla protesi .
“Infatti, la superficie metallica dell’impianto costituisce un
terreno ideale per la crescita dei batteri al riparo dalle difese immunitarie
dell’organismo.
Per semplificare, – spiega Centofanti – i batteri posseggono
una specie di ventosa chiamata glicocalice con cui aderiscono alla protesi.
Una
volta che batteri aderiscono alla protesi creano un biofilm, una membrana di
zuccheri e proteine nella quale si annidano i germi patogeni, che gli
antibiotici non riescono a penetrare.
È per questo motivo che è così difficile
trattare le infezioni periprotesiche”.
QUANDO SI
INFETTA ?
“Una protesi si può infettare subito dopo l’intervento, comunque entro 3 mesi, e viene definita acuta;
“Una protesi si può infettare subito dopo l’intervento, comunque entro 3 mesi, e viene definita acuta;
dopo 3 mesi viene chiamata subacuta e dopo 2 anni
tardiva” dice il chirurgo ortopedico di Cortina.
“Acuta, significa che
l’infezione è stata contratta in sala operatoria, anche se oggi sono piuttosto
rare; le infezioni subacute e tardive sicuramente non sono imputabili a
infezioni contratte durante l’intervento ma derivano da setticemie o
batteriemie già presenti, come per esempio focolai settici dentari, cutanei,
urinari, respiratori, vasculopatie periferiche, pregressi interventi o
infiltrazioni articolari nella stessa sede.”
CHI E’ PIU’
A RISCHIO ?
“Esistono persone che sono più a rischio di infezione rispetto ad altre – continua Francesco Centofanti.
“Esistono persone che sono più a rischio di infezione rispetto ad altre – continua Francesco Centofanti.
– Generalmente si tratta di persone con una o
più patologie coesistenti, che quindi potrebbero andare incontro più facilmente
a un’infezione di protesi.
Diabetici, pazienti affetti da tumore, grandi obesi
oppure persone molto magre; coloro che hanno già altre infezioni concomitanti;
chi fa uso di droghe o alcool, oppure fuma; chi è affetto da epatite oppure
HIV.
Anche l’età, ovvero i grandi anziani che hanno superato gli 80 anni sono
maggiormente a rischio di infezione”.
↓ Le Infezioni Ossee e Articolari
COSA FARE
QUANDO E’ PRESENTE L’INFEZIONE ?
Il primo sintomo riferito dal paziente è il dolore; compito del medico è fare la cosiddetta diagnosi differenziale, ovvero stabilire se si tratta di una infezione oppure di mobilizzazione di protesi.
Il primo sintomo riferito dal paziente è il dolore; compito del medico è fare la cosiddetta diagnosi differenziale, ovvero stabilire se si tratta di una infezione oppure di mobilizzazione di protesi.
“Nell’infezione superficiale (o
precoce) si può tentare la chirurgia conservativa – spiega il direttore del
Reparto di Ortopedia dell’Istituto Codivilla Putti.
– Attraverso un’incisione
cutanea superficiale dell’area in cui è presente l’infezione si provvede al
lavaggio e alla medicazione.
Infine, si richiude e l’intervento può, in molti
casi, definirsi risolutivo.
Quando l’infezione è profonda, invece, è necessario
rimuovere la protesi e reimpiantarne una nuova – sottolinea Francesco
Centofanti.
– Nel caso di infezione, l’intervento può svolgersi in unico atto
operatorio o in due interventi diversi”.
La chirurgia ‘one-stage’, in un unico atto operatorio, è indicata nelle infezioni a bassa virulenza e prevede la rimozione dell’impianto e del cemento, l’asportazione del tessuto necrotico e cicatriziale, il reimpianto con cemento antibiotato, ovvero a lento rilascio di antibiotico nella sede dell’infezione.
La chirurgia ‘two-stage’, ovvero in due atti operatori distinti, attualmente considerata il golden standard nel trattamento delle infezioni periprotesiche, si effettua in due tempi: prima avviene la rimozione dell’artroprotesi infetta che viene sostituita da uno spaziatore custom-made o preconfezionato costruito con cemento anti- biotato; dopo massimo 4 mesi lo spaziatore viene rimosso e si procede con l’impianto di una nuova protesi. La funzione dello spaziatore di cemento con antibiotico è di tipo meccanico, ovvero preserva i piani musco- lari mantenendone la lunghezza e la tensione, e biologica, poiché rilascia antibiotico ad alta concentrazione nel focolaio di infezione.
La chirurgia ‘one-stage’, in un unico atto operatorio, è indicata nelle infezioni a bassa virulenza e prevede la rimozione dell’impianto e del cemento, l’asportazione del tessuto necrotico e cicatriziale, il reimpianto con cemento antibiotato, ovvero a lento rilascio di antibiotico nella sede dell’infezione.
La chirurgia ‘two-stage’, ovvero in due atti operatori distinti, attualmente considerata il golden standard nel trattamento delle infezioni periprotesiche, si effettua in due tempi: prima avviene la rimozione dell’artroprotesi infetta che viene sostituita da uno spaziatore custom-made o preconfezionato costruito con cemento anti- biotato; dopo massimo 4 mesi lo spaziatore viene rimosso e si procede con l’impianto di una nuova protesi. La funzione dello spaziatore di cemento con antibiotico è di tipo meccanico, ovvero preserva i piani musco- lari mantenendone la lunghezza e la tensione, e biologica, poiché rilascia antibiotico ad alta concentrazione nel focolaio di infezione.
“In entrambi
i casi, la terapia antibiotica è spesso PCP, acronimo che abbiamo coniato al
Centro di Cortina, che sta per Periodica, Ciclica e Perenne.
Significa che,
anche se la risoluzione con l’intervento chirurgico avviene nell’80% dei casi,
la guarigione potrebbe non essere definitiva e quindi richiedere periodici
cicli di terapia – prosegue l’esperto.
– Per definire la terapia è necessario
riuscire a identificare e isolare, il più velocemente possibile, il germe
patogeno responsabile dell’infezione.
Infatti la non identificazione del germe,
purtroppo, è spesso alla base del fallimento della cura – conclude il dottor Centofanti.
– Per questo motivo iniziare subito una terapia antibiotica a largo spettro non
significa iniziare a debellare l’infezione ma, al contrario, potrebbe
significare il fallimento della cura”.
Per maggiori
informazioni www.codivillaputti.it
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