Articolo informativo di Giuseppe Pinna per S. O. S. - “Osteomielitici d’Italia” - Onlus «Centro Servizi Informativi On-line per Osteomielitici e Pazienti dell’Ospedale CODIVILLA-PUTTI di Cortina d’Ampezzo».
Infezione delle protesi articolari
di Giovanni Cacia, intervista al professor Francesco Centofanti.
Si verifica mediamente nel 2% dei casi anche in presenza di un’asepsi intraoperatoria ottimale, di una pro cedura chirurgica corretta e di una profilassi antibiotica adeguata.
Secondo i dati forniti dal dottor Francesco Centofanti, Direttore del Reparto di Ortopedia dell’Istitu-to Codivilla di Cortina, relativi alle infezioni protesiche trattate dal 1999 al 2008, su 1266 casi solo il 3% riguarda spalla, caviglia e gomito mentre il 55% riguarda il ginocchio e il 42% l’anca.
Secondo i dati forniti dal dottor Francesco Centofanti, Direttore del Reparto di Ortopedia dell’Istitu-to Codivilla di Cortina, relativi alle infezioni protesiche trattate dal 1999 al 2008, su 1266 casi solo il 3% riguarda spalla, caviglia e gomito mentre il 55% riguarda il ginocchio e il 42% l’anca.
Vista del Padiglione Alessandro Codivilla ↑
“Tutte le protesi dolorose sono infette fino a prova contraria, ma non tutte le protesi infette sono doloro-se”, dichiara Francesco Centofanti, Primario dell’Istituto Codivilla-Putti di Cortina d’Ampezzo, centro Osteomielitico noto per la cura e il trattamento delle infezioni ossee.
“Non sempre infatti, la protesi dolorosa presenta un’infezione – continua l’esperto, forte dell’esperienza clinica su migliaia di pazienti che da tutta Italia si rivolgono al centro di Cortina.
– Potrebbe trattarsi invece di una protesi instabile e in questo caso, il trattamento medico e chirurgico cambia; è pertanto veramente importante che il medico faccia la diagnosi corretta nel minor tempo possibile per poter affrontare correttamente quello che, a mio parere, rappresenta un fallimento piuttosto che una com plicanza dell’intervento chirurgico”.
Vista del Padiglione Vittorio Putti ↓ ↑
“Non sempre infatti, la protesi dolorosa presenta un’infezione – continua l’esperto, forte dell’esperienza clinica su migliaia di pazienti che da tutta Italia si rivolgono al centro di Cortina.
– Potrebbe trattarsi invece di una protesi instabile e in questo caso, il trattamento medico e chirurgico cambia; è pertanto veramente importante che il medico faccia la diagnosi corretta nel minor tempo possibile per poter affrontare correttamente quello che, a mio parere, rappresenta un fallimento piuttosto che una com plicanza dell’intervento chirurgico”.
I REIMPIANTI SONO PIU’ A RISCHIO
Secondo Assobiomedica, ogni anno in Italia sono 3600 i nuovi casi di infezione con una maggiore incidenza del ginocchio rispetto all’anca, come confermano i dati dell’Istituto Codivilla-Putti, e con una spesa di 90-100 milioni di euro/anno.Per esempio, il costo per una revisione di protesi di anca infetta è 2,8 volte quello di una revisione non settica, 4,8 volte quello di un impianto primario.
“L’incidenza delle infezioni protesiche tende ad aumentare nei reimpianti, cioè quando la protesi va sosti-tuita – afferma l’esperto – perché si tratta di un intervento che ‘agisce’ su una situazione già compromessa da un intervento precedente, dove la cute è già stata incisa, l’osso ‘modificato’ tanto da poter ospitare una pro- tesi. Insomma, con i dati di cui disponiamo oggi, è possibile prevedere che l’incidenza delle infezioni sui reimpianti tenderà sicuramente ad aumentare”.
COME SI INFETTA UNA PROTESI?
L’infezione più temibile è la periprotesica, ovvero l’infezione adesa alla protesi.“Infatti, la superficie metallica dell’impianto costituisce un terreno ideale per la crescita dei batteri al riparo dalle difese immunitarie dell’organismo.
Per semplificare, – spiega Centofanti – i batteri posseggono una specie di ventosa chiamata glicocalice con cui aderiscono alla protesi.
Una volta che batteri aderiscono alla protesi creano un biofilm, una membrana di zuccheri e proteine nella quale si annidano i germi patogeni, che gli antibiotici non riescono a penetrare.
È per questo motivo che è così difficile trattare le infezioni periprotesiche”.
QUANDO SI INFETTA?
“Una protesi si può infettare subito dopo l’intervento, comunque entro 3 mesi, e viene definita acuta; dopo 3 mesi viene chiamata subacuta e dopo 2 anni tardiva” dice il chirurgo ortopedico di Cortina.“Acuta, significa che l’infezione è stata contratta in sala operatoria, anche se oggi sono piuttosto rare; le in-fezioni subacute e tardive sicuramente non sono imputabili a infezioni contratte durante l’intervento ma derivano da setticemie o batteriemie già presenti, come per esempio focolai settici dentari, cutanei, urinari, respiratori, vasculopatie periferiche, pregressi interventi o infiltrazioni articolari nella stessa sede.”
CHI E’ PIU’ A RISCHIO?
“Esistono persone che sono più a rischio di infezione rispetto ad altre – continua Francesco Centofanti. – Generalmente si tratta di persone con una o più patologie coesistenti, che quindi potrebbero andare incontro più facilmente a un’infezione di protesi.Diabetici, pazienti affetti da tumore, grandi obesi oppure persone molto magre; coloro che hanno già altre infezioni concomitanti; chi fa uso di droghe o alcool, oppure fuma; chi è affetto da epatite oppure HIV.
Anche l’età, ovvero i grandi anziani che hanno superato gli 80 anni sono maggiormente a rischio di infe-zione”.
COSA FARE QUANDO E’ PRESENTE L’INFEZIONE?
Il primo sintomo riferito dal paziente è il dolore; compito del medico è fare la cosiddetta diagnosi differen-ziale, ovvero stabilire se si tratta di una infezione oppure di mobilizzazione di protesi.“Nell’infezione superficiale o precoce, si può tentare la chirurgia conservativa – spiega il responsabile del Reparto di Ortopedia dell’Istituto Codivilla-Putti.
– Attraverso un’incisione cutanea superficiale dell’area in cui è presente l’infezione si provvede al lavaggio e alla medicazione.
Infine, si richiude e l’intervento può, in molti casi, definirsi risolutivo.
Quando l’infezione è profonda, invece, è necessario rimuovere la protesi e reimpiantarne una nuova – sot-tolinea Francesco Centofanti.
– Nel caso di infezione, l’intervento può svolgersi in unico atto operatorio o in due interventi diversi”.
La chirurgia ‘one-stage’, in un unico atto operatorio, è indicata nelle infezioni a bassa virulenza e prevede la rimozione dell’impianto e del cemento, l’asportazione del tessuto necrotico e cicatriziale, il reimpianto con ce mento antibiotato, ovvero a lento rilascio di antibiotico nella sede dell’infezione.
La chirurgia ‘two-stage’, ovvero in due atti operatori distinti, attualmente considerata il golden standard nel trattamento delle infezioni periprotesiche, si effettua in due tempi: prima avviene la rimozione dell’artro-protesi infetta che viene sostituita da uno spaziatore custom-made o preconfezionato costruito con cemen-to antibiotato; dopo massimo 4 mesi lo spaziatore viene rimosso e si procede con l’impianto di una nuova protesi.
La funzione dello spaziatore di cemento con antibiotico è di tipo meccanico, ovvero preserva i piani musco- lari mantenendone la lunghezza e la tensione, e biologica, poiché rilascia antibiotico ad alta concentrazione nel focolaio di infezione.
“In entrambi i casi, la terapia antibiotica è spesso PCP, acronimo che abbiamo coniato al Centro di Cortina, che sta per Periodica, Ciclica e Perenne.
Significa che, anche se la risoluzione con l’intervento chirurgico avviene nell’80% dei casi, la guarigione po-trebbe non essere definitiva e quindi richiedere periodici cicli di terapia – prosegue l’esperto.
– Per definire la terapia è necessario riuscire a identificare e isolare, il più velocemente possibile, il germe patogeno responsabile dell’infezione.
Infatti la non identificazione del germe, purtroppo, è spesso alla base del fallimento della cura – conclude il dottor Centofanti.
– Per questo motivo iniziare subito una terapia antibiotica a largo spettro non significa iniziare a debellare l’infezione ma, al contrario, potrebbe significare il fallimento della cura”.
Significa che, anche se la risoluzione con l’intervento chirurgico avviene nell’80% dei casi, la guarigione po-trebbe non essere definitiva e quindi richiedere periodici cicli di terapia – prosegue l’esperto.
– Per definire la terapia è necessario riuscire a identificare e isolare, il più velocemente possibile, il germe patogeno responsabile dell’infezione.
Infatti la non identificazione del germe, purtroppo, è spesso alla base del fallimento della cura – conclude il dottor Centofanti.
– Per questo motivo iniziare subito una terapia antibiotica a largo spettro non significa iniziare a debellare l’infezione ma, al contrario, potrebbe significare il fallimento della cura”.
Per maggiori informazioni www.codivillaputti.it
Fine
Pubblicato su Blogger oggi 21 ottobre 2012 alle ore 22,30 da: Giuseppe Pinna de Marrubiu
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